martedì 6 settembre 2011

IGNAZIO DI PASQUALE - VITA STRAORDINARIA





La Parrocchia dei SS. Pietro e Paolo dove sono
 stato battezzato, sono cresciuto ed ho abitato
                 
          NASCITA ED INFANZIA DI IGNIS

 Il rione dei ferrovieri in cui sono nato era come una grande famiglia allargata: le case non avevano piani superiori, in ognuna c'era un giardino attraverso il quale gli abitanti potevano comunicare tra loro.
I nonni erano stati colleghi di lavoro e i padri che avevano preso il loro posto si conoscevano dalla nascita.
Provavo piacere quando gli anziani si rivolgevano a mio padre dandogli del "tu", mi dava un senso di parentela, loro avevano molta stima verso i miei nonni paterni che si erano trasferiti da Palermo.

Mio nonno aveva portato una specie pregiata di fico, il primo ad essere piantato nel rione ed era diventato il generatore di altri fichi coltivati nella zona; quando ero bambino quel fico era un colosso e sapevo come arrampicarmi fino in cima per raccogliere i suoi frutti che mia madre seccava al sole per l'inverno.
Io ed i miei coetanei ci consideravamo come dei cugini e questa esperienza confidenziale mi aveva inculcato l'idea a non considerare il prossimo come un estraneo.
I giardini del rione erano coltivati con cura, vi erano fiori variopinti, piante officinali ed alberi da frutto, durante la brezza primaverile in particolare si diffondevano profumi soavi che si confondevano con la salsedine del mare, distante solo pochi passi da noi.
Da ragazzi ci recavano sulla spiaggia a Maregrosso, anche d'inverno, per vedere i cavalloni alti fino a una decina di metri, oppure ci tuffavamo dopo che i pescatori di frodo gettavano in mare degli esplosivi per stordire i pesci che in branco risalivano a galla e noi, inconsapevoli di legalità, con un retino li prendevamo per mangiarli cotti sulla brace accanto al falò che accendevamo e intorno al quale ci sedevamo dopo il tramonto, quando il cielo cominciava a riempirsi di stelle.
C'era una scogliera che iniziava dalla risacca verso il mare, con i miei fratelli e Sandrino ci tuffavamo al calare del sole, quando la spiaggia era deserta, a volte ritornavamo dopo cena e ci soffermavamo a contemplare Dio e le costellazioni, o fare dei progetti sul nostro futuro.
Sandrino amava il presente e lo viveva con consapevolezza adattando la sua grande fantasia e voglia di scoprire giorno, dopo giorno, senza pensare al domani, la sua vita era come il "Carpe diem" delle odi di Orazio, coglieva l'eterno nella fugacità, vedevo il suo volto illuminarsi quando odorava il profumo di un fiore, era sempre nuovo in ogni nuovo istante e lo coglieva integralmente.

Avevamo due caratteri diversi, non opposti e proprio per questo stavamo bene insieme; integrandoci a vicenda desideravamo imparare l'uno dall'altro, noi ci completavamo vicendevolmente, per questa ragione la nostra amicizia non era mai monotona.
Io e Sandrino avevamo in comune la purezza di cuore, la generosità, l'educazione, la volontà di studiare, la timidezza, l'amore verso la natura e la pulizia.
Io ero più impulsivo e idealista, lui più metodico e concreto.
Le mamme ci coccolavano sempre per i nostri modi di fare, ma non ci vantavamo con i compagni per questo.
I miei antenati erano originari di Valencia, come pure il mio nome e cognome italianizzati sono di origine spagnola, ho avuto sempre una tendenza verso la cultura e la religiosità iberica, in particolare verso il mio santo Ignazio di Loyola ed i Gesuiti.
Io e Sandrino, sin da piccoli ci piaceva stare con gli altri nell'oratorio della parrocchia e partecipavamo sempre ai tornei di ping-pong, oppure esercitarci a cantare nel coro ed io mi dovevo impegnare più di lui, che avevo una voce più robusta, a differenza della sua che era perfetta. 
La parrocchia del rione è quella dei Santi Pietro e Paolo con un campanile molto alto, quando suonavano le campane subito dopo una pioggia si sentivano come se fossero dentro i nostri giardini.
Erano tre grosse campane settecentesche di misure diverse e il parroco ci aveva insegnato da bambini a suonarle tirando le funi dal basso per annunciare ai fedeli l'inizio della recita del rosario che precedeva la messa vespertina: venticinque tocchi, una pausa contando mentalmente fino a cinque... poi un tocco, dopo un quarto d'ora dovevamo ripetere, finendo con due tocchi ed al terzo quarto d'ora con tre tocchi.
Ogni domenica alle 10,00 e durante la mezzanotte di Pasqua, mentre altri si rifiutavano a causa dei numerosi gradini, io e Sandrino salivamo  fino alla cima del campanile per afferrare i tre batacchi e suonare all'impazzata per 10 minuti di continuo a discapito dei nostri poveri timpani, senza parlare della fatica dopo aver fatto tutte le scale, basti pensare ad un palazzo di 4-5 piani. 
Quando pioveva, o grandinava si sentiva il tic tac sopra i tetti, la natura si rendeva tangibile attraverso suoni, profumi e colori.
Allora non c'era tanto smog e di rado sulla principale via La Farina passava qualche automobile.
L'ambiente sociale ed il contatto con la natura in tutta la sua purezza aveva determinato il nostro carattere.

Durante la mia nascita mia madre aveva appena sedici anni, da bambina rimase orfana di suo padre e poichè era ancora ragazza, mia nonna spesso faceva le sue veci insegnandole ogni cosa.
Quando avevo un anno e mezzo era nata mia sorella Maria Piera, nel momento in cui stava passando la processione dei SS. Pietro e Paolo, per questo motivo il secondo nome era stato aggiunto in onore di San Pietro; poi, a tre anni, era nato mio fratello Vittorio e compiuti i tredici anni mia madre aveva avuto per la quarta volta le doglie, in quei tempi si nasceva in casa con l'aiuto di una levatrice.
Ero impaurito per le sue doglie dolorose ed avevo chiesto a mia nonna cosa avesse, con naturalezza mi aveva risposto: "sta per arrivare la cicogna", immaginavo un enorme volatile, tale da avere la forza per portare dal cielo un bambino, la mia paura era aumentata e mi ero infilato sotto il letto per nascondermi, fino a quando era nato l'altro fratello Adriano.
Mi viene da ridere quando penso a quell'avvenimento e nello stesso tempo rifletto alla purezza ed ingenuità di cuore che c'era nella nostra preadolescenza.
Ricordo mia madre quando mi teneva per mano mentre giocava nel rione con le sue coetanee in cerchio, a "chi tardi arriva male alloggia".
Lei era bellissima con i suoi riccioli naturali, le guance rosa vellutate, gli occhi verdi ed una corporatura perfetta; quando si recava al mercato con me notavo che la corteggiavano, lei arrossiva e li allontanava dicendo di essere sposata mostrando loro che ero suo figlio, ma non volevano crederle: pensavano che fossi un suo fratellino e che quella fosse soltanto una scusa per respingerli.
Mi aveva insegnato le prime preghiere sin dalla fanciullezza, era molto buona, generosissima e vicina a Dio, con una devozione particolare verso la Madonna.
 
La nonna materna era rimasta a lungo vedova sin dalla giovane età, quando avevo cinque anni si era risposata con un docente di Matematica all'Università che da tempo la corteggiava per le sue buone virtù e signorilità.

Ricordo quel giorno molto bene, quando lo sposo di mia nonna mi aveva dato un pacco di confetti da distribuire all'uscita della Chiesa.
Non avevo conosciuto i miei nonni e mi ero subito affezionato, mi sentivo amato da lui e mi trattava con cura, mi mandava la sua cameriera personale che mi chiamava: "signurinu"; voleva essere un vero nonno: "io sono tuo nonno a tutti gli effetti per il fatto che io e la nonna, come è scritto nella Bibbia, siamo una sola carne, chi oserebbe dubitare della Parola di Dio?".
Era parente del famoso premio Nobel per la letteratura Salvatore Quasimodo, egli stesso era un uomo colto che aveva trasformato in circolo culturale la sua grande abitazione che si trovava in centro città, dove spesso vi soggiornavo con i miei fratelli, a volte anche assieme a Sandrino, in una camera riservata per noi con tantissimi giocattoli che i miei nonni ci compravano.
Da bambini frequentavamo l'Istituto "Don Bosco", lì mi ero anche preparato con mia sorella, Sandrino ed altri compagni per la prima Comunione.
Dalla prima elementare, nell'Azione Cattolica parrocchiale, ero stato una "fiamma bianca", poi "fiamma verde, rossa ed aspirante", qualche tempo più tardi, Juniores, responsabile dell'associazione locale e a Roma nel consiglio diocesano, quando il presidente nazionale era Mario Agnes, fratello di Biagio, il fondatore del TG1.
A nove anni, il parroco mi aveva dato una bandiera della Santa Sede da esporre a mezz'asta sul campanile della parrocchia: era morto il Papa Pio XII°, in quella occasione tutte le campane della mia città e del mondo suonavano per annunziare il triste evento.
Ero rimasto affascinato da quel "Pastore Angelico" compianto dal mondo e per la prima volta avevo pensato che da grande mi sarei fatto prete.
Sandrino mi diceva, con parole sue, di riflettere serenamente, di lasciare che Dio si realizzi in me ogni giorno e di essere gioiosamente aperto alla vita in tutti i suoi molteplici aspetti.
La nostra catechista, suor Antonietta Brancato, del "Don Bosco", dopo averci insegnato la recita del Rosario, ci aveva donato una coroncina e un foglietto con i misteri e le litanie della Madonna; tante volte andavamo sulla scogliera a recitare quella preghiera con innocente devozione, accompagnati dal dolce suono delle onde.
Ma verso i tredici anni ero diventato assai irrequieto, combinavo marachelle di tutti i colori con i miei nuovi amici e mi recavo in parrocchia solo per disturbare.
Il mio cambiamento era avvenuto in seguito ad un fatto assai sconvolgente.

Viaggiavo spesso in bici con Sandrino e la nostra meta era Alì Terme, a circa 25 Km dalla nostra città che diventavano il doppio con il ritorno; durante il tragitto facevamo varie soste per riposarci.
Eravamo entusiasti quando sentivamo l'aria profumata della zagara, oppure ammiravamo il litorale dello Jonio tra le spiagge e le campagne della provincia.
Un giorno, sotto il ponte della ferrovia in via La Farina, nella zona denominata "curvone Gazzi", avevo visto un Tir di traverso che occupava le due corsie e tanta gente intorno.
Spinto dalla curiosità mi ero avvicinato, tra le ruote avevo intravisto una bicicletta accartocciata, accanto un lenzuolo steso, tutto insanguinato che copriva un corpo.
Era stato un flash: un vigile urbano aveva sollevato un lembo ed avevo notato la testa spaccata a metà, il cervello sparso a terra con le pupille distaccate dalle loro orbite.
Avevo provato un orrore enorme e dopo aver vomitato quasi anche le budella, in silenzio ero tornato nella mia camera rimanendovi chiuso per tre giorni senza toccare cibo.
Dopo ero uscito per cercare il mio amico, avevo bisogno di riprendermi, di andare con lui sulla spiaggia a respirare quell'aria profumata di salsedine, ma quale amara sorpresa ho avuto nel sapere che quel corpo accanto al Tir era proprio il suo, di Sandrino, e nessuno oltre me lo aveva potuto riconoscere per come era ridotto.
Non potevo accettare quella dolorosa perdita, la prima amara esperienza della vita mi faceva capire che, oltre le mura domestiche e il rione, vi era un mondo pieno di sofferenza, di illusorietà e di delusione.
Io e Sandrino eravamo ministranti, lui dava a tutti l'esempio durante le funzioni liturgiche con una compostezza devota, tutto attento al mistero del rito senza mai bisbigliare una sola parola.
Alla sua morte, Sandrino aveva un solo peccato: quello originale, una colpa ereditata e non commessa, è diventato un angelo davanti all'infinito amore di Dio a celebrare una liturgia senza più il velo del mistero.
Poco dopo la morte di Sandrino mio fratello Vittorio si trovava in vacanza a Marsala, nella Casa della divina provvidenza, presso i salesiani, anche lui aveva assistito ad una tremenda tragedia: durante un gita su tre barche, una di queste si era capovolta ed erano morti 19 bambini, era svenuto nel vedere due fratellini morti abbracciati. 
Da quel giorno era stato affetto da oligofrenia, una patologia che lo aveva accompagnato per tutta la vita.


VERSO L'ADOLESCENZA

Non accettavo l'idea della morte e che con essa tutto finisse.
Ogni giorno al cimitero, mi sedevo sulla lastra di marmo guardando la foto di Sandrino ed il suo nome; anche se parlavo con lui non volevo credere che fosse lì, a pochi metri sotto terra.
Non accettavo che quegli occhi bellissimi di Sandrino, sempre sorridenti  e luminosi, affascinanti e pieni di vita, fossero quelli che stavano sull'asfalto, informi in un grumo di sangue.
Sbattevo la testa contro le pareti e piangevo disperatamente alla ricerca di una verità, spesso mi recavo sulla scogliera a sentire le onde che si distendevano verso la riva e sembravano cantare per me una nenia che addolciva la mia mente e tutta l'anima, percepivo sempre la presenza di Sandrino accanto, come quelle volte che sentivo il profumo della zagara, nelle tiepide serate di primavera.
Una sera d'estate mi ero addormentato nella scogliera sul materassino gonfiabile che usavamo come salvagente, quando ridevamo divertiti galleggiando sopra le onde a spruzzarci addosso l'acqua del mare, lo avevo sognato vestito come era nella prima Comunione con un giglio candido alto quasi quanto lui, tutta la persona splendeva come un angelo, con il volto radioso  e sorridente percepivo che si trovava in uno stato di beatitudine indescrivibile.
In quella scogliera mi recavo spesso, mi trovavo ancora lì, all'età di 19 anni e pensando al mio amico scomparso, gli avevo dedicato la seguente poesia:
            
        IMMAGINE


Mi rivolgo al silenzio
cercando nel silenzio stellare
l'oasi di pace che ti racchiude
immobile nel cielo dei cieli
puoi darmi solo immagini
nessuna parola
solo uno sguardo
nemmeno io ho parole
ciò che vorrei dirti
lo sussurra il mare
infrangendo sulla scogliera
lingue d'onda
e tu come l'onda azzurra
cullata dalla brezza
ridesti gagliarda
nell'Oceano della vita
ma la feroce tempesta
spezzò quel sorriso
consegnandoti alla terra
come sperduto relitto
nessuna parola
solo un lamento d'acqua
bagna la spiaggia deserta...

Questa ed altre composizioni le avevo inviate a Salvatore Quasimodo per avere una sua recensione,  era ormai giunto al compimento della sua maturità letteraria  (essendo morto tre mesi dopo)  e così aveva risposto a me che ero poco più che ragazzo:


Questo suo favorevole giudizio mi aveva dato il coraggio di continuare a scrivere versi per dare una fisionomia alla mia delicata sensibilità.
All'inizio della mia adolescenza non riuscivo a darmi pace sul problema dell'al di là, se davvero con la morte sarebbe finito tutto.
Non m'accorgevo che stavo cambiando; dopo la perdita di Sandrino, pur di reagire, mi ero accostato a dei ragazzi che combinavano marachelle di tutti i colori ed io non ero da meno.
A volte andavamo a suonare i campanelli nelle palazzine senza ascensore e sceglievamo quelli che stavano nei piani più alti e per mantenere il campanello suonante ad oltranza attaccavamo della gomma da masticare dopo averlo premuto, subito nascosti dietro un angolo ci divertivamo ad osservare coloro che scendevano dicendo parolacce di tutti i colori.
C'erano degli ambulanti di contrabbando che vendevano petardi con dei fiammiferi contro vento che si potevano attaccare, noi avevamo delle fionde e lanciavamo i petardi dove trovavamo finestre aperte ai piani superiori, io ero bravo nel centrare gli obiettivi e vedevamo le persone affacciarsi alle finestre lanciando insulti, dopo che si erano spaventati a causa dei botti dentro casa.
Una domenica la parrocchia era piena di fedeli ed io nascosto dietro il porticato d'ingresso, con la fionda ed il petardo, avevo preso bene la mira, così era esploso sull'altare.
Si può immaginare il trambusto a causa dello spavento e P. Curreri andare su tutte le furie.
Ogni volta che mi vedeva mi dava dei bussolotti sulla testa, o dei pizzicotti perchè immaginava che qualcosa avessi comunque combinato e non aveva tutti i torti.
Presto mi ero stancato a frequentare quella ghenga di monellacci, l'esperienza provata non mi soddisfaceva, avevo bisogno di sfogarmi in altro modo per trovare la quiete che cercavo.
Pensavo alla grande statua del Sacro Cuore della parrocchia che con le mani tese sembrava volesse abbracciarmi, se chiudevo gli occhi immaginavo tutto l'amore divino di Gesù e quello che io sentivo per lui, pensavo anche a Sandrino che non avrebbe mai approvato quel mio comportamento traditore  della sua memoria.
Preferivo stare solo, non riuscivo a trovare una compagnia come quella di Sandrino, volevo dare una risposta ai miei pensieri esistenziali e la mia fortuna era stata quella di potere andare presso la biblioteca comunale a prendere dei libri in prestito.
Ero diventato un assiduo frequentatore e prima di uscire con il libro scelto mi soffermavo a fare le mie ricerche all'interno, dove potevo consultare diversi testi e confrontarli per saperne di più.
Non volevo leggere libri poco seri di magia, o spiritismo nel cercare di capire il senso della vita e della morte, per questo motivo avevo cominciato a leggere trattati di filosofia, di teologia, di astrofisica nucleare, di storie di Santi...
Argomenti difficilissimi per un ragazzino e il dizionario mi aiutava ben poco, tuttavia, più leggevo e più ne avevo voglia.
Oltre la Sacra Scrittura e L'imitazione di Cristo, i libri che allora mi avevano aiutato molto erano quelli di Nino Salvaneschi, in particolare "Saper amare, Saper credere, Saper soffrire".
Una sera avevo seguito in televisione i funerali di Papa Giovanni, che chiamavano "il Papa buono" ed ero rimasto colpito da tante lacrime versate a causa della sua scomparsa.
Ancora una volta le campane suonavano in tutta la città e risuonavano dentro di me come un invito da parte di Dio a tornare sul serio nella parrocchia, ma c'era P. Curreri da affrontare...
In quei giorni avevo notato dei ragazzi, poco più grandi di me, che venivano nel rione dei ferrovieri ad insegnare il catechismo ai bambini; senza mezzi termini mi ero avvicinato a loro dicendo di voler far parte del gruppo e mi avevano accolto volentieri.
All'inizio P. Curreri mi dava i soliti bussolotti che man mano diminuivano col tempo.
Assieme al gruppo tutti i giorni andavo a Messa, poi ci accostavamo davanti al tabernacolo aperto e stando in ginocchio leggevamo l'ora santa, non mi accorgevo del tempo che sembrava scorrere in un baleno, recitavamo il rosario meditato ed i vespri, oltre all'apostolato che svolgevamo tra gli scolari, in particolare mi occupavo della preparazione alla prima Comunione, dei ministranti e nella San Vincenzo dè Paoli, la Caritas di allora, recandomi a Maregrosso, dove vivevano numerosi baraccati, tra i quali c'erano quei pescatori di frodo.
Dopo sei mesi da quella nuova svolta il parroco che sbirciava e controllava si era reso conto del mio cambiamento, stava sorgendo
 l'alba di un'amicizia che presto diventava sempre più profonda, fino alla sua morte alla quale giunse quasi centenario.
Era stato docente in seminario, durante le sue lezioni gradiva molto rispondere agli alunni che amavano studiare, lo capiva dalle frequenti domande che gli facevano.
All'inizio credevo di infastidirlo con le mie richieste di spiegazioni in merito ai libri che leggevo, ma presto avevo notato che mi incoraggiava a studiare di più sotto la sua guida, mi spronava a conoscere la letteratura italiana, il latino e il greco, non solo, mi aveva anche insegnato a suonare l'armonium e poi l'organo a canne.
Era diventato un padre per me, un ruolo che conosceva bene: aveva fatto da padre ai suoi quattro nipoti rimasti orfani in tenera età.
A quattordici anni avevo già scelto di consacrarmi a Dio ed alla Chiesa con il sacerdozio, una scelta che avevo mantenuto costantemente per ben tredici anni.
Ogni giorno mi recavo tra i poveri di Maregrosso dove vivevano un centinaio di famiglie, con il mio gruppo ed il loro aiuto avevamo costruito una baracca e li si svolgeva il dopo scuola.
In quel periodo mio padre si dichiarava marxista leninista a modo suo, praticando il più rigoroso ateismo ed anticlericalismo.
Aveva eliminato dalle pareti di casa tutte le immagini sacre che mia madre venerava e le aveva sostituite con manifesti comunisti.
Con mio padre avevo avuto una vita difficile a causa dei suoi profondi traumi causati dalla guerra e da una aspirazione bocciata.
Era dotato di una splendida voce tenorile e fu ascoltato personalmente da Beniamino Gigli che lo voleva a Torino, allora aveva solo sedici anni e mia nonna non glielo permise, però non potè impedirgli di partire allo scoppio della guerra quando aveva appena diciannove anni.
Lui, che non si era mai allontanato da casa fino ad allora, dovette arruolarsi in marina e combattere in Jugoslavia.
Il sogno infranto di una carriera nel mondo della lirica e la guerra lo avevano segnato profondamente, per questi motivi manifestava in famiglia comportamenti nervosi con improvvisi scatti d'ira.
Non voleva che andassi più in parrocchia; una mattina mentre stavo facendo colazione gli avevo detto addirittura che volevo farmi prete, immediatamente mi aveva spaccato sulla testa la tazza, tanto che il sangue era sparso in tutta la stanza, aveva picchiato anche mia madre accorsa in mia difesa.
Mia  sorella Maria Piera ed io da ragazzini dormivamo nella stessa stanza e parlavamo fino a tarda notte per sfogarci e confidarci, considerando che con mio padre non vi era possibilità di dialogare.
Lui dopo si pentiva sempre, senza però desistere dalle sue decisioni.
In un'altra occasione era venuto in parrocchia e mi aveva preso a nerbate davanti al parroco ed i fedeli che dopo mi avevano confortato con tanto amore.
Aspettavamo la venuta dell'arcivescovo in visita pastorale, per quella occasione avevo preparato il coro ed i ministranti.
Non avevo mai visto da vicino un arcivescovo, a maggior ragione un uomo imponente e solenne come Mons. Francesco Fasola, di cui è in corso il processo di beatificazione.
Alla fine della S. Messa egli mi aveva chiesto, visibilmente dispiaciuto, come mai avessi quegli ematomi ed a rispondere era stato il parroco spiegandogli i fatti e la mia vocazione ostacolata.
Non dimenticherò mai la sua tenerezza, mi aveva detto che potevo andare a trovarlo tutte le volte che desideravo senza preavviso e lo sapevano i suoi segretari, don Malgioglio e poi don Franco Montenegro che lo aveva sostituito, il quale oggi è arcivescovo di Agrigento, diocesi che comprende anche Lampedusa luogo d'approdo di molteplici immigrati.
Avevo conosciuto don Montenegro e sua madre quando ero seminarista a 17 anni e lui era al secondo anno di teologia.
Con l'arcivescovo Fasola avevo trovato un altro padre che mi aveva seguito da vicino per tutto il periodo che è stato in carica; l'ho visto a Novara la sua città di origine qualche settimana prima della sua morte, avvenuta a 92 anni e in quella occasione mi aveva donato un libro di don Silvio Gallotti con la seguente dedica che conservo assieme ad alcune lettere: "Diventare santi è il nostro unico mestiere".
Ogni settimana andavo a trovare l'arcivescovo, alcune volte lo incontravo in auto assieme al suo anziano predecessore, mons. Angelo Pajno e don Montenegro che guidava.
L'arcivescovo Pajno aveva retto la Diocesi dal 1923 al 1963, per ben 40 anni, veniva chiamato il "muratore di Cristo", perchè aveva edificato 132 chiese ex novo, restaurate 72 che erano state distrutte dal terremoto del 1908 e dalla seconda guerra mondiale, costruito 132 case canoniche e numerose altre istituzioni civili: biblioteche, scuole, ospedali... Era morto in seminario nel luglio del 1967, il periodo in cui ero già inserito.
Lo andavo a trovare nella sua stanza al piano terra del seminario e poco prima di morire mi aveva regalato un libro di S. Alfonso Maria dè Liguori, "Apparecchio alla morte".
Per potere entrare in seminario avevo lottato contro mio padre e sono riuscito a conquistare il nostro rapporto dopo tre faticosi anni, quando ne avevo 17.
All'inizio mi tormentava con le sue teorie della fine di tutto dopo la morte e che la religione fosse una droga psicologica per tenere buona l'umanità, ma io prontamente ogni volta mi recavo dal parroco che mi spiegava tutto.
Riferivo a mio padre tutto quello che imparavo, poi tenevo sempre in casa una copia della "Famiglia Cristiana" e i vari libri che avevo in prestito, così anche lui cominciava a farmi domande interessanti.
Aveva lasciato il partito ed alcuni mi avevano riferito che di nascosto si recava in cattedrale, ho creduto che l'arcivescovo lo avesse messo in contatto con un canonico molto preparato.
Così ho ottenuto da mio padre il permesso di entrare in seminario ed egli inviava la somma relativa agli assegni familiari per me che ero minore e il rimanente che occorreva, provvedendo anche a fornirmi tutto il corredo che era stato richiesto.
In seguito mio padre era diventato sempre più amabile.
Tuttavia c'era un guaio a cui bisognava porre rimedio: quando mio padre mi impediva di andare in parrocchia aveva scelto di mandarmi in una scuola di avviamento per motoristi navali, per tale motivo non avevo la licenza media.
Era stato P. Curreri a risolvere il problema facendomi presentare agli esami con la preparazione che mi aveva dato e quella acquisita andando in biblioteca, così in seminario avevo frequentato il IV ginnasio; il latino ed il greco che avevo imparato non potevano crearmi difficoltà, tanto che con ottimi voti ero stato promosso.
Mio fratello Vittorio aveva 14 anni e sentiva molto la mia mancanza.
Una sera, sul tardi, in seminario eravamo tutti agitati ed in stato d'allarme, pensavano che all'esterno si fosse nascosto un ladruncolo, invece era mio fratello che mi cercava piangendo.


IL SERVIZIO MILITARE

A diciotto anni dovevo fare la visita per il servizio di leva, si era presentato un funzionario civile per darmi alcuni fogli da firmare.
Si trattava di un corso per sottufficiali a Spoleto e mi ero sorpreso non avendo fatta alcuna richiesta, anzi sapevo che tanti giovani diplomati non erano stati accettati, senza una raccomandazione.
P. Curreri dispiaciuto, ne aveva parlato con l'arcivescovo e mi aveva proposto di farmi aiutare da P. Salvatore Scimè, un gesuita che insegnava filosofia presso l'Istituto magistrale, secondo loro potevo farcela a diplomarmi e non li avevo delusi sostenendo brillantemente tutti gli esami: per esempio, dovevo tradurre e fare l'analisi logica di una poesia di Orazio dal titolo "Fons Bandusiae", verso la fine dell'interrogazione il professore a bruciapelo mi aveva chiesto dove si trovasse la fontana citata dal poeta latino e prontamente avevo risposto: "a Venosa".
Dietro al docente in piedi c'era il presidente della commissione che mi stava ascoltando, ma l'interrogante mi aveva contraddetto: "Hai sbagliato, si trova a Tivoli!".
Qualche tempo prima P. Salvatore Scimè mi aveva proposto una ricerca su alcuni testi latini in biblioteca, lì avevo letto che esiste un'unico documento: una bolla di Papa Pasquale I del 1103, nella quale sosteneva che tale fonte si trovava a Venosa.
E in tal senso avevo risposto al professore che confuso aveva ammesso: "Mah, forse ci sono due fontane...", il presidente mi aveva stretto la mano, il giorno dopo il professore si era congratulato dandomi ragione, io mi ero meritato quel diploma.
Dopo il mio congedo potevo frequentare il primo anno di Teologia, ma non mi avevano riferito nulla del corso a Spoleto.
Lo avevo capito qualche settimana dopo l'ingresso in Caserma, infatti mi aveva chiamato il colonnello comandante per riferirmi che il vescovo di Spoleto, mons. Ugo Poletti, voleva conoscermi; si era presentato con una lettera, scritta a lui da mons. Fasola e mi invitava a leggerla: gli diceva di avere cura di me e di "trattarmi come la pupilla dei suoi occhi". 
Da quel giorno ero stato autorizzato a frequentare il seminario di Spoleto ogni pomeriggio, dove avevo conosciuto il rettore don Franco Albanesi, in seguito divenuto missionario in Brasile.
Mons. Poletti era nato nella provincia di Novara (Omegna), come Mons. Fasola (Maggiora) ed era stato suo allievo, anche l'ex presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, fu alla scuola di mons. Fasola.
Mons. Poletti mi aveva anche riferito che il mio arcivescovo era preoccupato, temendo che l'ambiente militare potesse distogliermi dalla vocazione al sacerdozio, per questo aveva fatto in modo di mandarmi da lui a Spoleto.
Ottenuti i gradi avevo incarichi da ufficiale e comandavo un plotone, erano allievi del corso successivo al mio e li trattavo umanamente, a differenza dei miei colleghi.
A Spoleto, durante la festa del Corpus Domini, mi trovavo dietro la processione e man mano che mi vedevano gli allievi in libera uscita venivano accanto a me, c'era quasi tutto il plotone, alcuni portavano dei ceri, altri degli stendardi.
Alla fine della processione avevo salutato il vescovo che si congratulava con me dicendo: "non avevo mai visto una processione con tanti giovani in divisa venuti a testimoniare la loro fede".
Quando ero stato in seminario, nel 1967 a Messina, il Rettore era mons. Gaetano D'Angelo, un perfetto pedagogo dotato di una profonda bontà.
All'interno vi erano due sezioni: seminario minore, dove stavano gli studenti fino al V° ginnasio e seminario maggiore, dal 1° liceo fino all'ultimo anno di Teologia.
A diciassette anni frequentavo il IV ginnasio, quindi sarei dovuto andare al "minore" con ragazzi più piccoli di me.
Mons. Gaetano D'Angelo, comprendendo il mio disagio psicologico, mi aveva inserito al "maggiore" con i coetanei e solo durante le ore scolastiche stavo con i compagni del "minore".
Tra i superiori la figura più autorevole era il direttore spirituale, mons. Giuseppe S..
Avevo sentito dire che era proprietario di un piccolo albergo a Taormina, a volte appariva trasandato con la tunica ricoperta di macchie e la barba rossa incolta.
C'erano dei compagni che cercavano di evitarlo, a loro dire, per il suo modo inquisitorio di ispezionare le coscienze.
Si poteva scegliere un direttore spirituale dall'esterno tra coloro che erano stati incaricati, io avevo scelto don Giuseppe Romano, che ancora vive presso il "Collereale" di Messina mentre scrivo.
Mons. Giuseppe S. mi aveva fatto trasferire al minore, secondo lui non potevo andare e venire tra le due sezioni, nè mi aveva fatto evitare il servizio di leva, sostenendo che quella esperienza militare sarebbe stata utile per temprare la mia scelta vocazionale.
Quando stavo per partire il rettore, mons. Gaetano D'Angelo, mi aveva assicurato che le porte del seminario sarebbero rimaste aperte per accogliermi dopo il mio congedo.
In caserma, dopo qualche mese, avevo ricevuto una letterina da parte del rettore nella quale mi aveva informato che si era dimesso aggiungendo: sai chi è il nuovo rettore? ... mons. Giuseppe S ...
Durante il servizio di leva stavo svolgendo il mio incarico di turno al comando della guardia in una polveriera a Baiano, fuori Spoleto.
Era un periodo di particolare vigilanza, a causa degli attentati che si cominciavano a fare, come quello all'altare della patria, per questi motivi ci avevano raccomandato la massima allerta.
A fare un'ispezione notturna era stato un generale di divisione col suo seguito, la parola d'ordine veniva cambiata ogni giorno in un codice da decifrare, ma il generale aveva dato una risposta diversa e di conseguenza gli avevo schierato la guardia di picchetto con i MAB (moschetto automatico Berretta) puntati contro fino a farlo allontanare subito e senza discussioni.
L'indomani mi aveva telefonato il colonnello comandante con un tono di rimprovero, stava scherzando e con una gran bella risata si era complimentato a nome del generale, che voleva mettermi alla prova, il quale mi aveva offerto come premio un pellegrinaggio a Lourdes, il 12° pellegrinaggio riservato ai militari della Nato.



                       STUDENTE DI TEOLOGIA

Mi ero recato in seminario per comunicare al nuovo rettore, Giuseppe S., il mio congedo e che avevo conseguito il diploma magistrale con l'intenzione di entrare in teologia.
"Come? ", mi aveva risposto: " nonostante il servizio militare hai superato i tuoi vecchi compagni che devono ancora diplomarsi... come vedranno loro questo tuo salto in avanti?"
L'arcivescovo Fasola mi stimava e mi capiva, vedeva i fatti nel senso giusto, per cui mi ero rivolto a lui, ma il nuovo rettore trovava sempre il modo di mettere un tassello che non dava adito ad ulteriori discussioni.
Secondo il suo modo di pensare, considerando che ero entrato già grandicello in seminario e uscito l'anno successivo per svolgere il servizio di leva, dovevo considerarmi una vocazione adulta e solo gradualmente potevo inserirmi con gli altri seminaristi.
Dovevo trasferirmi a Zevio dove bisognava pagare una retta mensile di 80 mila lire ed ovviamente non disponevo di denaro, avevo fatto presente al rettore tale difficoltà e per tutta risposta mi aveva detto che se la mia chiamata fosse stata volontà di Dio, lo Spirito Santo avrebbe provveduto.
Infatti aveva provveduto abbondantemente, grazie all'arcivescovo Fasola, che aveva inviato subito la somma di 720 mila lire anticipando il costo per tutto l'anno scolastico.
Finalmente mi ero iscritto al primo anno di Teologia a Verona e abitavo presso una comunità di teologi che da adulti avevano scelto la via del sacerdozio.
Si trattava solo del primo anno scolastico e l'inserimento nel seminario della mia diocesi sarebbe stato accettato alla luce della relazione dei superiori di Zevio.
I superiori erano della Comunità di P. Mario Venturini, i "figli del Sacro Cuore" e con loro ho avuto un rapporto costruttivo; alla fine dell'anno, avevano scritto su di me una relazione eccellente.
Dovevo presentarla a mons. Giuseppe S. in busta aperta, ma poichè avevo imparato a conoscerlo, avevo prodotto una fotocopia per l'arcivescovo Fasola.
Infatti, dopo averla letta mi aveva risposto: "sembra positiva, ma il negativo bisognerebbe scoprirlo tra le righe".
Gli avevo risposto di farmi sapere, ma entro il tempo utile per l'iscrizione al secondo anno, tutta la negatività che sarebbe riuscito a scorgere tra quelle righe.
Immediatamente ero andato a consigliarmi con il mio parroco ed egli mi aveva chiesto se desideravo stare con lui in parrocchia, piuttosto che in seminario, di questa proposta avrebbe chiesto l'autorizzazione all'arcivescovo che avevo incontrato con la fotocopia riferendogli le parole del rettore Giuseppe S..
Mons. Fasola davanti a me gli aveva telefonato con autorevole fermezza e così ero stato accettato al secondo anno di Teologia, nel 1972, presso il "San Tommaso" e potevo abitare nella mia parrocchia con il venerato parroco, al quale l'arcivescovo gli aveva detto di considerarmi come un vice parroco con la dovuta retribuzione.
In quel periodo P. Curreri era molto addolorato, per questo mi aveva voluto in parrocchia: ero l'unico che potevo ben sostenerlo.
Prima del mio inserimento con P. Curreri c' era un sacerdote da poco ordinato, Pietro F., che faceva parte della mia stessa parrocchia e lo avevo frequentato in seminario.
Aveva scelto di fare il prete operaio e gran parte del suo tempo lo dedicava nella piccola fabbrica con dieci dipendenti, dove lavorava.
Trascurava la parrocchia che conteneva 10 mila anime ed il parroco se ne era lamentato con l'Arcivescovo che lo aveva richiamato e tra l'altro gli aveva detto: "Non ti ho ordinato prete per mandarti in una fabbrica a piantare chiodi" ed aveva pienamente ragione.
Una sera durante la messa vespertina celebrata dal parroco era comparso il prete operaio che indossava una tuta unta di grasso, capelli arruffati ed emaciato, con passi marcati e decisi aveva attraversato la Chiesa fino all'altare per strappare dalle mani dell'anziano parroco il microfono e lo aveva insultato pubblicamente di essersi lamentato con l'arcivescovo, lo apostrofava come parroco fascista ed altre frasi offensive provocandogli uno svenimento durante la S. Messa.
In città ogni anno si svolgeva "La settimana teologica", durante la quale si tenevano conferenze ad alto livello che riguardavano l'attualità della Chiesa Cattolica.
Era un periodo di contestazione generale da parte di una schiera che promuoveva il divorzio, il matrimonio dei preti e la questione dei preti operai.
Uno dei conferenzieri era dom Franzoni, abate della Basilica di San Paolo fuori le mura a Roma, tenuto molto in considerazione per le sue idee rivoluzionarie dai contestatori.
Presenziava l'arcivescovo Fasola, il quale era stato insultato da alcuni giovani plagiati dal prete operaio, tra questi c'era Filippo C., uno che da piccolo faceva parte del mio gruppo dei ministranti, il mio preferito, che era stato plagiato, ma non per molto: in seguito è entrato nell'Ordine dei Francescani ed oggi è un valido sacerdote.
Il mio inserimento non era stato facile, poichè la parrocchia era letteralmente spaccata in due: gli anziani erano dalla parte del parroco, mentre i giovani difendevano il prete operaio.
Dopo qualche giorno nascosti all'ingresso del campanile avevo notato manifesti di vario tipo contro il parroco: volevano fare una pubblica processione, perchè fosse mandato via.
Gran parte dei giovani che capitanavano la contestazione li avevo conosciuti da bambini, erano componenti del mio coro, altri li avevo preparati per la prima Comunione ed altri ancora erano nel mio gruppo di ministranti.
Avevo tutta la loro stima e mi chiedevano all'inizio di sostenerli, avevo risposto di pregare insieme davanti al SS. Sacramento esposto e poi avremmo deciso alla luce del Vangelo.
Presto tutti avevano capito che Cristo non ci chiamava per contestare, ma per amare ed essere portatori di pace.
Dopo alcuni mesi al prete operaio, dal centro oncologico di Milano, gli avevano diagnosticato un tumore andato in metastasi, era stato dimesso senza alcuna speranza ed era spirato sul traghetto durante la traversata; aveva ventisei anni e prima di morire aveva chiesto perdono all'arcivescovo ed al parroco, che poi gli aveva ceduto la sua tomba.
Le attività parrocchiali erano molteplici a causa della vastità del territorio, delle diverse associazioni e confraternite che vi operavano.
L' associazione parrocchiale Gioventù Italiana Azione Cattolica (GIAC) era intitolata a "Pier Giorgio Frassati", la quale vanta un primato assoluto  e documentato: è la prima al mondo ad essere stata costituita, così ha confermato in una lapide Luciana, la sorella del Beato che era molto legata a noi visitandoci e donandoci molte cose appartenenti a Pier Giorgio, come il tavolo su cui studiava che abbiamo posto nella biblioteca da poco istituita, della quale mi occupavo, tra l'altro.
Spesso usavo il ciclostile per stampare il giornale parrocchiale, i canti, varie liturgie, avvisi, inviti...
Portavo la S. Comunione agli ammalati, suonavo l'organo durante le funzioni solenni, funerali e matrimoni, mi occupavo della formazione del gruppo catechistico, della  San Vincenzo che operava tra i baraccati, il dopo scuola gratuito, eseguivo vari restauri... insomma, le mie giornate erano sempre piene, senza considerare lo studio alla Facoltà Teologica durante il 2° e 3° anno, tra il 71 e 73 al "San Tommaso".
Io ed il parroco eravamo stati sempre concordi, se mi chiedeva dei suggerimenti li portava a termine ed avevamo uno stretto contatto svolgendo una comune spirituale convivenza.
Il giovedì andavo in seminario per pranzare con i seminaristi ed incontrarmi con  i superiori, ma nel giro di pochi anni vi era stata una vera e propria evacuazione di seminaristi, eravamo 155 nel 1967 e siamo rimasti solo 10 teologi nel 1972.
In quel periodo, il vescovo Ugo Poletti, che avevo conosciuto a Spoleto, era stato creato cardinale vicario del Papa Paolo VI.
Si era incontrato con l'arcivescovo Fasola alla Domus Mariae a Roma, durante la CEI, e ricordandosi di me gli aveva chiesto che fine avessi fatto, sapendo che ero al 3° anno di teologia aveva chiesto al mio arcivescovo se fossi disposto a completare gli studi presso la Pontificia Università del Laterano.
Quando mons. Fasola me lo aveva riferito mi aveva anche detto che il card. Poletti si ricordava di quella processione del Corpus Domini, quando ero al seguito con il mio plotone di giovani militari.
Nel frattempo il mio parroco si era ristabilito e veniva ad aiutarlo un salesiano, docente di Catechesi del "San Tommaso", dove studiavo.
Prima di partire ero andato a salutare l'arcivescovo ed egli mi aveva consegnato una busta raccomandandomi di aprirla solo quando mi trovavo sul traghetto durante la traversata.
Mi ero messo a piangere nel vedere il contenuto, 800 mila lire secondo la valuta di allora e poche righe: "Ti dono questa somma per i tuoi primari bisogni, la Vergine Maria ti benedica!".
Sapeva che se l'avessi vista prima non l'avrei accettata quella somma, come una madre attenta che conosce il figlio, così l'arcivescovo mi conosceva bene.


L'ELEVAZIONE ROMANA

Ero già andato spesso a Roma, la prima volta quando avevo 14 anni per fare una bella sorpresa alla nonna materna.
Spesso parlava in famiglia di una nipote che non aveva più visto dal tempo della guerra, ovvero da circa 20 anni e ricordava vagamente l'ultimo indirizzo che era quello di via delle stelle alpine.
Da un vigile avevo saputo che la zona fosse quella di Centocelle.
Avevo percorso tutta la strada chiedendo porta a porta se qualcuno l'avesse conosciuta e mi rivolgevo in particolare ai più anziani, verso la fine una signora si ricordava vagamente di lei, ma si era trasferita
da tanto tempo in via delle Robinie e così avevo ripetuto l'operazione altre due volte, fino a sapere che era titolare di un negozio di abbigliamento.
Da bambina era vissuta con mia madre e non poteva non ricordarla.
Entrato nel negozio, mentre stava servendo alcuni clienti, fingevo di guardare delle camicie e quando finalmente si era rivolta a me per chiedermi cosa desiderassi le avevo risposto: sono il figlio di Tecla.
Ho notato la sua espressione di grande gioia, quando subito dopo aveva capito chi fossi ed abbracciandomi mi riempiva di baci e carezze mentre piangeva commossa.
Mi aveva ospitato per oltre un mese ed era tornata con me a casa dei miei familiari, dove era rimasta per un altro mese.
Da allora passavamo insieme il periodo delle ferie restando costantemente in contatto.
Nel 1974 dovevo presentarmi al card. Poletti che stava per partire in Terrasanta ed aveva dato l'incarico di ricevermi al gerente della diocesi romana, mons. Giovanni Canestri, in seguito creato cardinale ed arcivescovo a Genova, avevo anche conosciuto il vice gerente, mons. Oscar Zanera che mi aveva accompagnato a Palidoro, vicino al luogo in cui fu trucidato dai nazifascisti Salvo d'Acquisto, dove è stato eretto un monumento.
C'era una spiaggia privata riservata al Clero ricca di sabbie ferrose.
Mentre mi stavo ambientando e passeggiavo lungo il litorale, non c'era anima viva, vedevo soltanto piantati sulla sabbia degli ombrellini ordinati in file diverse.
Ad un certo punto avevo udito il suono di una sirena e tornando indietro avevo visto una scena tra il comico e l'apocalittico: non avevo notato di spalle che sotto la sabbia accanto ad ogni ombrellino, che serviva a riparare la testa dal sole, c'erano dei presuli che si curavano i reumatismi con l'insabbiatura e tutti si erano alzati insieme all'udire di quel suono.
Erano bagnati di sudore, avvolti nelle coperte con la sabbia addosso fino a coprire i volti come una maschera, i capelli bagnati, insabbiati e disordinati.
Sembravano morti viventi usciti dalle tombe allo squillo del giudizio finale, non sembravano affatto vescovi e cardinali.
Per due settimane sono stato con loro ed ero consapevole che li c'era una parte determinante del Cattolicesimo, a cominciare da quella esperienza avevo imparato qualcosa della struttura della Chiesa ed amarla con maggiore consapevolezza.
Intanto era tornato il card. Poletti e dopo una calorosa accoglienza mi aveva detto: "Ti presenterò per l'iscrizione al Laterano ed al direttore dell'Ufficio catechistico, mons. Paolo Gillet (poi eletto vescovo di Terni) per l'insegnamento della religione già stabilito all'istituto "Locatelli", ti avverto che dove andrai sarà come un campo di battaglia e con fiducia mando proprio te memore del tuo buon passato militare, eri un giovane che ha saputo farsi valere tra i giovani. Intanto abiterai presso la parrocchia dei SS. Protomartiri romani, il parroco è don Tonino D'Ammando, un ex ingegnere che ha scelto di farsi sacerdote, un sant'uomo, vedrai che sarai contento, durante il tuo tempo libero, se vuoi potrai venire al Vicariato e collaborare nella mia segreteria".
Aveva avuto ragione il cardinale vicario: don Tonino credeva fermamente alla sua chiamata e svolgeva la sua missione con zelo.
Egli era originario di Rieti ed era stato un valido ingegnere presso le acciaierie Terni, prima di diventare sacerdote.
Viveva in assoluta povertà nella ricca parrocchia che si trova in una nuova zona residenziale dietro la Basilica di San Pietro, sulla via Gregorio VII, tra i nostri parrocchiani c'erano i famosi attori Paolo Panelli con la moglie Bice Valori ed Enrico Montesano che a volte si esibiva nel teatrino della parrocchia.
Don Tonino prelevava il suo abbigliamento dall'armadio dei poveri, assieme alle scarpe che faceva più volte risuolare e manteneva apparentemente in buono stato lucidandole.
I suoi pasti erano sempre semplici e ridotti, ma non per i suoi ospiti che trattava con gran riguardo.
Ed erano ospiti di un certo rilievo: prelati, vescovi, cardinali che di passaggio dalla Santa Sede venivano in parrocchia soprattutto per stare in sua compagnia, oltre che per pranzare, o riposarsi.
Quando mi aveva accompagnato il card. Poletti, si era fermato a pranzo e non era stata quella l'unica volta.
Vicino alla finestra dove si pranzava c'era un merlo che aveva imparato a dire le parolacce che sentiva  dai ragazzini mentre giocavano di sotto a calcio, ripeteva spesso una frase: "A Nando... mortacci tua!".
Un giorno aspettavamo a cena il card. Poletti e per diverso tempo ripetevo al merlo: "Ugo, Ugo" che era il nome del cardinale.
Niente da fare: il merlo si ostinava a dire la solita frase, fino a che mi ero rassegnato.
Dopo cena il card. Poletti, mentre si stava avvicinando al merlo per osservarlo, questo gli gridò: "Ugooo... mortacci tua!"
Tutti eravamo scoppiati a ridere...
Ogni giorno a pranzo e cena vi erano momenti di ilarità che don Tonino sapeva suscitare, ma vi era anche lo spazio per la preghiera in una cappellina riservata agli ospiti ed alla famiglia parrocchiale composta dall'anziana perpetua, il sagrestano, il parroco, tre sacerdoti coadiutori ed io.
Don Tonino era stato anche un pioniere della nascente Caritas ed uno dei più attivi sostenitori in tutto il Lazio, assieme al compianto don Luigi Di Liegro che qualche volta si era fermato da noi a cena.
Prima camminava sempre a piedi nel vasto territorio parrocchiale e quando si recava in centro prendeva i mezzi pubblici, fino a quando un gruppo di fedeli gli comprarono una utilitaria A 4 che non voleva accettare, spesso la prestava a me per recarmi a scuola, o presso il vicariato.
Nella mia vita non avevo mai conosciuto un prete così povero per sè stesso e ricco verso gli altri, anche da lui ho imparato questa bella virtù del non attaccamento interiore, secondo l'insegnamento di Cristo: "non preoccupatevi del domani...guardate i gigli dei campi, in verità nemmeno Salomone fu rivestito di così tanto splendore", è nel non attaccamento che tutto diventa splendido. 
Non attaccamento nemmeno agli impulsi che derivano dall'istinto e questo avevo imparato dalla zelante donazione al prossimo da parte del clero che avevo conosciuto e prima, con la morte di Sandrino, avevo sublimato la purezza del suo spirito.
Cristo faceva parte della mia vita sempre di più, Egli mi stava preparando a donarmi fino ad assumere la passione attraverso calici amari di ingiuste persecuzioni, ma ancora il momento  doveva arrivare.
Quello di Roma è tempo di gloria, di quiete prima e non dopo la tempesta.
Nel mio primo giorno d'insegnamento mi ero presentato al Preside del "Locatelli" con la lettera d'incarico e le mie referenze, subito mi aveva avvertito della situazione: "La informo, professore, che il suo compito nell'Istituto non sarà facile: l'anno scorso c'è stata una protesta generale da parte degli alunni, i quali non volevano più avvalersi della materia di religione, non andavano d'accordo con il collega che l'ha preceduto e disertavano in massa le lezioni".
Io avevo ricevuto la talare dal primo anno di teologia, la indossavo solo quando ero in parrocchia e fuori, di solito, portavo il cosiddetto "clergyman", per fortuna quella mattina al "Locatelli" ero andato in borghese in maniera elegante, con occhiali Ray-Ban  che erano stati best-seller in tutto il mondo e mi ringiovanivano, avevo 25 anni e ne dimostravo di meno, sembravo anch'io uno studente come quelli del quinto anno e per questo motivo mi era capitato un comico "incidente" nell'aula dei professori.
Il preside mi aveva consegnato i registri di classe che potevo conservare nell'armadietto corrispondente al numero impresso nella chiave che si trovava nell'aula dei docenti assieme a tanti altri.
Ma numero ed armadietto non corrispondevano per cui facevo vari tentativi pensando a un difetto della chiave.
Nel frattempo era entrato il vice preside che ancora non avevo conosciuto e pensava che fossi un alunno intento a modificare i propri voti di qualche materia scritti sul registro, si era messo ad urlare come un forsennato: "che cosa fai tu qui?!...".
Stavo cercando di presentarmi, ma non mi faceva aprire bocca: "stai zitto!!", mi gridava.
Solo dopo un po, mentre ero già imbarazzato, mi aveva chiesto le generalità con l'intento di farmi un rapporto e sospendermi, finalmente potevo parlare e, quindi mi ero presentato come il collega di religione. Gli erano caduti i suoi registri dalle mani e non sapeva come scusarsi, in seguito era diventato un amico, oltre che un collega.
La mia prima lezione è stata in una quarta classe e per mia fortuna uno degli studenti, Emiliano, era il rappresentante degli alunni delI'Istituto, un'altra fortuna è stata che all'inizio mi avevano scambiato per il professore di Fisica e tutti ascoltavano in silenzio.
Così, partendo da uno stato di quiete cosmica al Big Bang e come tutto fosse finalizzato da una forza intelligente infinita, avevo fatto "viaggiare" le loro menti attente in una classe che pareva un'astronave verso la metafisica celeste.
Verso la fine, Emiliano, a nome dei compagni mi aveva detto che era piaciuta a tutti quella lezione di Fisica e se si potevano continuare tali argomenti durante l'anno scolastico.
Io avevo risposto: " più che di Fisica, questi, sono argomenti di religione" e avremmo potuto avere tutto lo spazio che volevamo.
Emiliano aveva parlato con tutti i compagni rappresentanti di classe manifestando la sua soddisfazione e quando entravo nelle sezioni, per la prima volta, sembrava che mi aspettassero.
Non v'era dubbio che Dio fosse venuto in mio aiuto con quelle favorevoli circostanze che si erano verificate.
Verso la fine del primo trimestre Emiliano, i rappresentanti di tutte le classi e la maggior parte degli alunni avevano nuovamente protestato, ma non per non avvalersi dell'insegnamento di religione, al contrario: sostenevano che un'ora la settimana non era sufficiente e bisognava farne almeno due, ma non dipendeva dal preside.
Quindi mi ero messo d'accordo con don Tonino che aveva messo a disposizione il teatrino per potere accogliere un giorno la settimana tutti quegli alunni che lo desiderassero, ne venivano così tanti e le mie lezioni si trasformavano in conferenze.
Dopo 15 anni don Tonino, memore di quegli eventi, aveva scritto di sua iniziativa una lettera al mio arcivescovo per raccomandare la mia candidatura  all'insegnamento della religione:





Tra marzo ed aprile nelle Scuole di ogni grado si celebrava la Pasqua dello studente, quando avevo fatto la proposta il preside si era messo a ridere, in quell'Istituto non si sapeva cosa fosse.
Un gruppo di alunni che venivano a trovarmi in parrocchia mi aveva proposto di organizzare un concerto rock nel teatro.
La band del momento era quella dei Pink Floyd, appena agli esordi  stava già riscuotendo un enorme successo in tutto il mondo, il gruppo conosceva tutti i loro brani alla perfezione e voleva eseguirli durante lo spettacolo.
Era  stata un'esperienza bellissima, il teatro era così pieno soprattutto di giovani che erano rimasti entusiasti tanto da proporre una replica per coloro che erano stati costretti a rimanere fuori.
Una sera, quando erano venuti per le prove, scherzando avevo chiuso la porta del teatro dicendo loro: da quì non si esce se non ci metteremo d'accordo, vorrei organizzare la Pasqua dello Studente e vi farò una proposta che vi piacerà... riguardava i canti per la S. Messa che potevamo preparare per quella occasione: musica tratta dai Pink Floyd e testi in italiano adattati alla liturgia.
Non solo erano stati d'accordo, erano soprattutto entusiasti di creare su  quei piacevoli brani l'originalità tutta loro nell'adattare le parole.
Era stata fissata la data dell'evento e nel frattempo girava sempre più la voce che tutti dovessero partecipare, l'Istituto contava circa 1.200 alunni, ma alla S. Messa della Pasqua dello studente, non solo non mancava nemmeno un alunno, molti avevano invitato anche i loro amici, la Chiesa era stracolma e il Card. Poletti visibilmente commosso.
Durante una cena ero stato presentato al maestro delle cerimonie pontificie, mons. Virgilio Noè, in seguito creato cardinale; egli notando che avevo buon portamento fisico e bella presenza, mi aveva proposto l'incarico di crocifero ed accolito alla presenza del Papa Paolo VI nella cappella Sistina.
La mia prima occasione era stata quella del settembre 1974, il quarto sinodo dei vescovi, tra i quali c'era anche il futuro Papa Giovanni Paolo II, Karol Wojtyla, allora cardinale di Cracovia, che nel sinodo era tra i relatori generali.
Prima di svolgere la mia funzione di crocifero, essendo il primo di una lunga processione composta da molti prelati, vescovi, cardinali e infine il Papa, il maestro delle cerimonie mi aveva caldamente raccomandato: "non procedere troppo lentamente, considera che tutto il mondo ci guarda, ma nemmeno troppo veloce: per il Santo Padre tre metri è come se fossero tre chilometri", questo a causa di un'artrosi sul ginocchio sinistro che lo tormentava.
Mi era stato suggerito di esercitarmi, per una settimana mi recavo a San Pietro entrando dal portone di bronzo e portare la pesante lunga asta d'argento con la croce d'oro dalla sagrestia fino all'altare della cappella papale.
Durante il servizio di accolito dovevo porgere la grande pisside d'oro con le particole da consacrare al Papa stando in ginocchio davanti a lui che era seduto, erano stati pochi attimi ma segnati dall'eternità:
Paolo VI aveva appoggiato le sue mani sopra le mie mentre reggevo la pisside, ho guardato da vicino la profondità dei suoi occhi azzurri, sembrava quella di un uomo responsabilmente consapevole del suo ruolo universale, uno sguardo che mi trasportava lontano dal luogo in cui mi trovavo e sentivo di venerarlo, anche lui guardandomi intuiva e leggermente premeva le sue mani sulle mie che se volesse dirmi di aver colto nella mia anima.
Alla fine della celebrazione eravamo nella sagrestia soltanto noi che avevamo svolto il servizio liturgico e Paolo VI  si era intrattenuto per salutarci.
In un'altra occasione avevo incontrato il Papa Paolo VI ad Assisi durante un'assemblea generale dei francescani, io vi ero giunto al seguito del card. Poletti che ormai mi considerava come uno dei collaboratori della sua segreteria.
Il viaggio più lungo che ho fatto con il Cardinale vicario è stato fino a Lourdes, organizzato dall'opera romana pellegrinaggi, io mi trovavo nella sua carrozza e in quella occasione mi aveva suggerito di frequentare al Laterano un seminario di diplomazia ecclesiastica, era evidente che su di me vi erano dei progetti, mi aveva anche detto di andare ogni giovedì al collegio Capranica, dove mi sarei dovuto inserire in attesa dell'ordinazione diaconale; lì avevo conosciuto il rettore, mons. Gualdrini e uno studente, un anno più avanti di me negli studi, che la domenica veniva ad aiutarci nella parrocchia dei Protomartiri, dove era stato ordinato presbitero dal Card. Poletti, era di origine siciliana come me, Rino Fisichella, attualmente è un arcivescovo molto conosciuto a Roma.
Nel 1975 mi avevano affidato l'insegnamento della Religione in altre due  scuole superiori, "Cesare Lombroso" a Primavalle e "Quintino Sella", nella zona centrale di Roma, una traversa di via Arenula, dove c'è il Ministero della Giustizia.
In tutto il periodo dell'insegnamento a Roma ho avuto circa 5 mila alunni ed è stato un lavoro intenso, ma ricco di soddisfazioni spirituali, senza considerare gli altri incarichi, la parrocchia e lo studio, non mi stancavo mai ed ero pienamente soddisfatto, nulla di più avrebbe potuto desiderare un giovane di 25 anni come me.
Il ruolo più delicato e diplomatico lo svolgevo al Vicariato di Roma.
Nell'agosto del 1975 il card. Poletti era stato colpito al nervo trigemino dell'occhio sinistro da un herpes zoster (fuoco di S. Antonio), non poteva vedere la luce e provava un fortissimo dolore, tutto il lavoro di segreteria si era intensificato.
Proprio in quel periodo era avvenuto un fatto sconvolgente:
come ho scritto sopra, avevo conosciuto dom Franzoni a Messina durante la settimana teologica, quando alcuni facinorosi avevano insultato pubblicamente il santo arcivescovo Fasola.
Nel periodo in cui ero al vicariato più volte vi erano dei comportamenti negativi da parte di questo abate della basilica di San Paolo fuori le mura con la sua smania di protagonismo, da quando aveva cominciato ad occuparsi di sindacato all'interno dei CUB (comitato unitario di base) il suo atteggiamento verso la Chiesa era diventato provocatorio ed il primo contrasto era avvenuto proprio con Paolo VI.
All'interno della basilica aveva fatto restaurare un'ala per creare una vasta biblioteca spendendo una somma ingente di denaro della Chiesa senza chiedere alcuna autorizzazione e poi non ne valeva la pena, non essendoci alcuna utilità rispetto ad altre iniziative che potevano essere utili per il bene della Chiesa, era stata soltanto la sua voglia di grandezza, direi la sua superbia unita alla disobbedienza, quando il Papa aveva dato la sua disapprovazione incaricando il suo vicario, il card. Poletti, a risolvere la questione.
dom Franzoni si era recato al Vicariato quando il cardinale soffriva a causa dell'herpes.
Gli argomenti da trattare erano di una certa delicatezza che richiedevano una riservatezza che dom Franzoni doveva assicurare.
Lui aveva un forte ascendente sugli scouts dell'Agesci e vari ambienti, in quel periodo in cui la contestazione veniva anche fatta senza una ragione, c'era solo il gusto di cambiare il vecchio senza fare nuove proposte migliori e dom Franzoni si proponeva come un nuovo profeta di sventure aizzando tutti quelli che poteva, pur di figurare davanti a costoro come un leader.
Non soltanto non era stato di parola riguardo alla riservatezza, ma interpretando in modo diverso quello che era stato detto al Vicariato, aveva aizzato a Piazza San Giovanni in Laterano tanti contestatori, in gran parte provenienti dall'Agesci, contro il card. Poletti che non aveva avuto colpa di nulla e grande era stata la sua sofferenza fisica, soprattutto morale, grazie a dom Franzoni.
Intanto P. Curreri da Messina mi telefonava spesso, già non stava bene di salute, poi l'angina pectoris lo rendeva ancora più sofferente, mi chiedeva se potevo tornare in parrocchia, almeno durante le vacanze estive che per me non esistevano, dati i numerosi impegni.
Dal punto di vista economico stavo benissimo grazie al lavoro scolastico e le numerose offerte  personali che mi giungevano da più parti, fin da Monforte San Giorgio, nella provincia di Messina, dove mi recavo a visitare alcuni ammalati, un paese ricco e generoso.
Tuttavia le mie tasche erano sempre vuote, spendevo tutto quello che avevo verso i poveri bisognosi, senza nemmeno riuscire ad aiutare tanti che si rivolgevano a me.
La gioia nell'apostolato sovrabbondava al punto che non mi serviva nient'altro, così mi aveva insegnato don Tonino ai SS. Protomartiri, un'anima profondamente serena quanto distaccata dalle cose materiali.
Personalmente non aspiravo ad una carriera personale nella Chiesa, la mia era obbedienza ai superiori che volevano promuovermi verso più alte responsabilità, secondo l'insegnamento di Paolo VI: una maggiore autorità deve tradursi in un maggiore servizio.
Nel 1975 ero venuto a sapere che il Papa Paolo VI aveva accolto la proposta di dimissioni da parte dell'arcivescovo di Messina, mons. Fasola, per motivi di età, altre sue richieste in precedenza erano state "respinte" e circolava ufficiosamente il nome di mons. Ignazio Cannavò come successore, lo avevo appreso al Vicariato e mi era stato confermato ufficiosamente dal rettore del Capranica, mons. Gualdrini che conosceva bene il nuovo arcivescovo, essendo stati compagni di studi nella stessa classe in passato.
Qualche giorno dopo alla Domus Mariae in via Aurelia, sede della Commissione Episcopale Italiana (CEI), doveva venire l'arcivescovo Fasola, ogni volta che veniva a Roma mi faceva avvertire ed andavo ad incontrarlo con il mio gruppo di catechisti che avevo formato ai Protomartiri.
Lo avevo chiamato a parte per comunicargli quanto avevo saputo facendo il nome del suo successore, ed egli sorridendomi aveva detto che ancora nessuno sapeva, non essendo ufficiale la notizia, "ma considerando che ne sei a conoscenza te lo presento subito". 
Avendo saputo che portavamo lo stesso nome, da allora in poi mi chiamava "il mio omonimo", mi aveva chiesto se a Roma mi trovavo bene e se avessi l'intenzione di tornare a Messina, la mia diocesi d'origine, io gli avevo risposto che lo avrei fatto per potere stare vicino al mio parroco Curreri, ma ci dovevo pensare e non era facile essendo ormai inserito a Roma.
Dopo alcune settimane il nuovo arcivescovo di Messina era tornato a Roma e mi aveva dato un appuntamento per dirmi che lui desiderava che tornassi ed incardinarmi in diocesi con l'ordinazione diaconale che sarebbe avvenuta tra sei mesi.
Forse è stato per obbedienza verso il pastore della mia città natia, sicuramente per aiutare il mio parroco, che per me era stato un padre, ho deciso di lasciare Roma.
Temevo che volessero tentare di trattenermi e dovevo mostrarmi deciso, ho informato i miei alunni che volevo salutare e in tanti mi avevano accompagnato; quando il treno stava per partire ed ero affacciato al finestrino avevo notato le loro mani alzate per salutarmi e le lacrime di quei ragazzi ai quali volevo tanto bene, anch'io avevo pianto, mentre il treno si allontanava e loro sparivano alla mia vista.


INCIPIUM STELLA CADENT IN PULVEREM
(La stella comincia a cadere nella polvere)


L'ALBERO DI CUI PARLO


L'albero di cui parlo
è il salice
e piange ancora
adesso mi sei accanto
e la tua presenza
fa tremare
il mio cuore infranto
vincolato ai tuoi rami
mi nutre quel silenzio
che non trovavo
quando versavo
sulle tue radici
l'acqua delle mie lacrime
un vento gelido
ostinato nella notte
mi lacerava la vita
per portarmi lontano
ma la tua forza mi sostiene
come un cireneo
per non farmi cadere
flagellato nel fango.


"Il demonio è il nemico numero uno, è il tentatore per eccellenza. Sappiamo così che questo essere così oscuro e conturbante esiste davvero, e con proditoria astuzia agisce ancora; è il nemico occulto che semina errori e sventure nella storia umana... E' lui il perfido e astuto incantatore, che in noi sa insinuarsi, per via dei sensi, della fantasia, della concupiscenza, della logica utopistica, o di disordinati contatti sociali nel gioco del nostro operare, per introdurvi deviazioni, altrettanto nocive quanto all'apparenza conformi alle nostre strutture fisiche, o psichiche, o alle nostre istintive, profonde aspirazioni.
Sarebbe questo, sul demonio e sull'influsso, che egli può esercitare sulle persone, come su comunità, su intere società, o su avvenimenti, un capitolo molto importante della dottrina cattolica da ristudiare, mentre oggi poco lo è.... (Papa Paolo VI- Udienza generale, 15 novembre 1972).
Catechismo della chiesa cattolica N° 2051 "Il male non è un'astrazione; indica invece una persona: Satana, il maligno, l'angelo che si oppose a Dio. Il diavolo è colui che si getta di traverso al disegno di Dio e alla sua opera di salvezza compiuta in Cristo".
Inizio questo capitolo, che sarà un lento e progressivo cammino, fino al baratro della sofferenza, con due citazioni autorevoli che rappresentano universalmente il pensiero della chiesa cattolica: il demonio non è un'idea astratta, ma un essere concreto che con ogni mezzo cerca di ostacolare colui che opera nella vigna del Signore. E' lui il vero artefice di ogni mia ferita subita.
Ho sempre creduto all'esistenza del demonio per fede e cultura teologica da quello che ho imparato dalla Chiesa, ma non ho mai avuto un particolare interesse in questo tipo di ricerca, era soltanto una conoscenza culturale.
Non voglio riferire tutto quello che mi è capitato, dopo che tale conoscenza non era stata solo teorica, ma un impatto materiale concreto ed inequivocabile, direttamente ed attraverso i suoi ignari accoliti fatti di carne umana.
Farò solo qualche accenno utile alla comprensione del seguito di questa storia di sofferenza per far capire che essa è stata originata da un progetto del maligno persecutore, soprattutto dopo la mia adesione al Movimento Carismatico e la mia diffusione di vari gruppi, soprattutto in Sicilia.
Ho conosciuto il Movimento a Roma prima ancora che diventasse ufficiale con il primo incontro mondiale, nel maggio del 1975, presso le Catacombe di San Callisto, dove erano convenuti circa 5 mila persone provenienti da varie nazioni e mi ero trovato tra loro per un intervento straordinario.
Il giorno dopo la Pentecoste di quello stesso anno era stato proprio il Papa Paolo VI ad incoraggiare lo sviluppo del Movimento carismatico: "In un mondo sempre più secolarizzato, nulla è più necessario della testimonianza di questo rinnovamento spirituale che vediamo suscitato dallo Spirito Santo.
Io lo avevo seguito qualche anno prima, nel 1974, dopo avere incontrato presso la segreteria del card. Poletti uno dei fondatori del movimento che all'inizio era noto con il nome di "Gruppo Maria", era Paolo Serafini, un diacono permanente a Roma molto stimato dal cardinale vicario che lo incoraggiava a proseguire.
Anche a me, il card. Poletti, aveva detto di riferirgli le mie impressioni e per questo motivo ero andato alla Chiesa del Gesù retta dai gesuiti, dove è sepolto il fondatore S. Ignazio, sullo stesso luogo in cui fu trovato morto. 
A lui ero stato sempre devoto in modo speciale, nella Chiesa di Via Astalli  si riunivano i componenti del "Gruppo Maria", diventato "Comunità Maria" ed infine "Gesù risorto", lì avevo conosciuto Jacqueline ed Alfredo Lancillotti, un coppia di sposi missionari in tutta Italia per diffondere il movimento.
Il modo diverso di pregare con l'uso della glossolalia parlata e cantata, seguito da frasi profetiche, non mi aveva entusiasmato molto, fino a quando non ero stato al primo convegno mondiale di quel 19 maggio del 1975 in maniera certamente soprannaturale.
Oltre il parroco dei SS. Protomartiri, anche il Card. Poletti mi prestava una delle due auto che aveva a disposizione: una 131 mirafiori scura targata CD e una mercedes bianca targata SCV, Corpo Diplomatico e Stato Città del Vaticano; le usavo soprattutto per entrare in San Pietro dal cancello S. Anna, o S. Marta quando dovevo provvedere all'acquisto di viveri, o farmaci particolari, o nel periodo in cui mi esercitavo per le varie funzioni nella Cappella Sistina.
Quella mattina del 19 maggio stavo guidando la 131 mirafiori e mi trovavo sulla via Olimpica, una circonvallazione di Roma scorrevole, comoda per evitare il traffico caotico dell'Urbe.
Improvvisamente avevo perso i sensi e non riuscivo a vedere nulla, temevo un incidente e cominciavo ad avere paura, quando una voce interiore mi diceva di tranquillizzarmi.
Non so quanto sia rimasto in quello stato, fino a quando riuscivo a recuperare la vista, mi ero accorto di aver fatto molta strada, fino ad essere giunto alle catacombe di S. Callisto, dove avevo notato migliaia di persone con varie bandiere.
All'inizio credevo che fosse un raduno di focolarini che avevo conosciuto a Verona con la fondatrice Chiara Lubich e mi ero aggregato, ancora frastornato per quello che mi era successo.
Stavo in ginocchio con gli occhi socchiusi intento a pregare, una forte brezza primaverile faceva sventolare le bandiere come se fosse lo sbattere di tante ali e un sole tiepido attraverso la pelle dava un dolce senso di tepore, quel luogo sembrava essere in un'altra dimensione, oltre lo spazio ed il tempo.
Disteso tra la brezza e quello sventolio si sentiva un coro quasi sommesso che si intonava con i suoni dell'ambiente, sembrava che uno stuolo di angeli fosse sceso tra noi per cantare lodi a Dio, fino a diventare un canto trionfale costituito da migliaia di voci, mi dava l'impressione di una risurrezione maestosa.
Sentivo una forza che spingeva le mie braccia verso l'alto e tutti all'unisono con me avevano le braccia alzate, mentre il canto in lingue era al culmine come se fosse guidato da un invisibile direttore d'orchestra.
In quel momento era entrata in me una forte scarica di corrente da fare tremare tutte le ossa, dopo, all'improvviso c'era stato un silenzio assoluto per consentire il dono della profezia e della glossolalia a cui avevo subito creduto sentendo un bambino che lodava Dio usando radici aramaiche che non poteva conoscere.
Non avevo più alcun dubbio: quel movimento era per me un segno dei tempi voluto da Dio e non potevo restare fermo.
Era prossimo il mio rientro a Messina e pensavo di formare un gruppo di ragazzi della parrocchia dei SS. Pietro e Paolo che avevo già preparato alla Comunione, avevo bisogno di stare in un luogo tranquillo per un ritiro spirituale di 15 giorni e il nuovo arcivescovo Cannavò mi aveva messo a disposizione un piccolo santuario isolato e chiuso da tempo, era il primo gruppo di rinnovamento carismatico che avevo costituito.
Il nemico infernale stava in agguato per vagliarmi nel suo setaccio.
Ero contento di tornare nella parrocchia natia e P. Curreri si era ristabilito al punto che mi aveva espresso il desiderio di andare a trovare un fratello a Filadelfia che non vedeva da circa mezzo secolo, in pratica dovevo sostituirlo per 2 mesi, le Messe venivano celebrate da alcuni preti incaricati, poi ero io ad occuparmi di tutto il resto ed era stata un'esperienza positiva, quella del "parroco" a breve termine.
Trascorso questo periodo, nel settembre del 1976, l'arcivescovo mi aveva dato un appuntamento, dove era presente anche mons. Giuseppe S. ,  che era stato il protagonista durante quell'incontro: "Ti dobbiamo trasferire in un'altra parrocchia, in quella dei SS. Pietro e Paolo non puoi stare per il motivo che li abita la tua famiglia; devi scegliere: vuoi andare al villaggio Ritiro, o al villaggio Bordonaro?" Al Ritiro il parroco era don Giuseppe Romano, il mio  direttore spirituale ed ovviamente avevo chiesto di andarci, ma mons. S. prontamente mi aveva risposto che dovevo trasferirmi proprio nella parrocchia che non avevo scelto, dove il parroco Severino B. era di origine friulana e non lo conoscevo.
Mi ero chiesto che senso aveva, allora, l'avermi chiesto  di scegliere.
Nel frattempo frequentavo l'Istituto Ignatianum per il corso di Licenza in Teologia, il preside della Facoltà era P. Pietro Schiavone, a cui avevo affidato la direzione della mia anima, dopo che il precedente direttore spirituale, P. Salvatore Scimè si era trasferito a Modica, entrambi erano  Gesuiti,  ero affascinato della Compagnia di Gesù fondata dal mio Santo e meditavo di entrare a far parte dell'Ordine, così tanto glorioso nella storia attraverso i suoi Santi. 
A Messina il Movimento di Rinnovamento nello Spirito si era diffuso straordinariamente in diverse parrocchie anche attraverso un parroco camilliano, egli aveva conosciuto Jacqueline ed Alfredo che varie volte erano venuti a trovarci.
Il parroco di Bordonaro mi aveva chiesto di formare un gruppo, ma durante gli incontri spesso non era presente, in seguito alcuni giovani mi avevano confidato delle gravi lamentele nei suoi confronti ed ero rimasto molto dispiaciuto.
Con quei giovani ne avevo parlato all'arcivescovo ed i fatti erano così intollerabili, infatti, quel parroco era stato allontanato subito dalla diocesi.
A causa di quella amara delusione avevo provato una crisi profonda e mi ero rinchiuso in me stesso, per la prima volta dopo tantissimi anni non ero più certo della mia vocazione ed avevo bisogno di riflettere attentamente. 
Dal mio ritorno a Messina avevo conosciuto Rosaria, la zia materna di uno di coloro che avevo preparato alla prima Comunione, ormai cresciuto faceva parte del mio gruppo di Rinnovamento nello Spirito, lei si era innamorata di me.
Spesso ci incontravamo a cena dalla sorella, dove c'era anche sua madre, tutti mi consigliavano di formarmi una famiglia e Rosaria mi dichiarava apertamente il suo amore, io avevo bisogno di riflettere, in fondo sentivo ancora il desiderio di non abbandonare l'ideale del sacerdozio e cominciavo a considerare la possibilità di farmi missionario.
Rosaria, nel periodo di carnevale del 77, mi aveva convinto ad accompagnarla in discoteca a Taormina ed in quella occasione avevo bevuto degli alcolici, ai quali non ero abituato, al punto che mi sentivo strano e tutto mi girava intorno, eravamo tornati a casa mia dove avevamo avuto dei rapporti intimi.
Quando ero rimasto solo avevo pianto fino all'alba, sempre più deciso a dimenticare ed andare in missione. 
Mi ero rivolto a P. Schiavone, il quale voleva vagliare le mie intenzioni  e dopo alcuni mesi mi aveva mandato a Vico Equense, in una loro istituzione, dove ero stato una settimana per varie delucidazioni e preparativi, avevo chiesto di partire come diacono in attesa dell'ordinazione sacerdotale.
Raggiante e pienamente ricaricato ero tornato a Messina, per produrre tutti i certificati, ma era venuta a trovarmi Rosaria dicendomi che era incinta e dovevo pensare al nascituro, piuttosto che al sacerdozio.
Temevo di fare uno scandalo e non me la sentivo di abbandonare Rosaria, nè volevo avere una creatura senza un nome, così avevo scelto di sposarla.
Dopo le pubblicazioni mi aveva riferito di avere avuto un aborto spontaneo, a causa di uno sforzo nel sollevare due scatoloni nella ditta di abbigliamento in cui lavorava, ma il titolare aveva smentito categoricamente una simile circostanza e dopo averla interrogata, lei mi aveva riferito di avermi mentito per amore e non voleva perdermi.
Mi aveva parlato dei suoi familiari, un clan di prepotenti che si era arricchito tramite la pratica dell'usura e lei era stata sempre sottomessa a loro come un'ebete.
Io ero sempre vissuto dentro la Chiesa e non conoscevo certe trame del mondo secolare, per cui mi costava molta fatica inserirmi in varie questioni materiali e nell'ambito della famiglia di mia moglie le questioni erano sempre suscitate dall'egoismo, dall'ignoranza, dalla menzogna, dalla calunnia e dalla prepotenza che si manifestavano con la violenza fisica e morale.
Non me ne ero reso conto subito di tanta gravità, anche se sopportavo per amore di pace durante quelle occasioni che avevo di stare a casa il fine settimana.
Ero stato assunto presso la De Agostini con l'incarico di docente di marketing ed il mio compito era quello di formare le agenzie che si trovavano in Italia, per questo motivo dovevo assentarmi da casa dal lunedì al venerdì.
Il guadagno era eccellente, tutte le spese che facevo in trasferta venivano rimborsate, anche il costo dell'auto, godevo di una provvigione su alcune opere che promuovevo ed altre se organizzavo delle fiere.
Quando tornavo a casa il cofano e i sedili dell'auto erano pieni di viveri e regali, inoltre consegnavo a mia moglie tutto il denaro, certo che con tutto quello che portavo, apparentemente e con ipocrisia mi davano il benvenuto.
Intanto nel 1978, dopo un anno dal matrimonio, era nata mia figlia Simona, letteralmente adottata dalla zia materna che l'ha resa estranea a noi genitori e non potevo impormi sia per evitare litigi, sia per il fatto che mia moglie aveva acconsentito, due anni dopo era nato mio figlio che stava in casa nostra assieme ai nonni materni.
Il bambino veniva trascurato e sin da pochi mesi percepiva che nelle mie braccia si sentiva sicuro e non si addormentava se non teneva tra le manine una ciocca dei miei capelli.
In memoria del mio amico scomparso Sandrino lo avevo chiamato Alessandro.
Egli mi dava tanta gioia mentre lo vedevo crescere e impegnavo tutto me stesso per educarlo bene ai valori della vita, con un metodo preventivo, come quando si cura una pianta e si toglie l'erbaccia soffocante intorno, non lo rimproveravo mai, lo facevo solo ragionare con dolcezza, mai in vita sua ha ricevuto da me un solo schiaffo.
Tutto quello che costruivo intorno a lui veniva demolito dal comportamento dei parenti di sua madre incutendogli paura e soggezione psicologica, lo intimidivano così tanto che aveva timore di parlarne persino con me, anzi con me in particolare non doveva confidarsi e mi dipingevano ai suoi occhi come un incapace, un buono a nulla, tutto questo l'ho saputo da mio figlio dopo tanti anni.
Sentivo la necessità di essere più vicino alla mia famiglia, di distaccarla da quell'ambiente, per questi motivi mi ero licenziato dalla De Agostini, l'Arcivescovo Cannavò mi aveva offerto la possibilità di tornare ad insegnare Religione da laico.
Qualche volta veniva a trovarmi in aula mio fratello Vittorio, aveva un senso di devozione ed era orgoglioso di me, veniva a pranzo a casa mia, fino al 1992, quando mi era giunta la tragica notizia della sua morte improvvisa, colpito per errore da un'arma da fuoco.
Era l'ennesimo dolore che incombeva sulla mia vita.
Non sopportavo più la presenza dei suoceri in casa, non tanto per me stesso che ugualmente ero trattato come un oggetto, quanto per mia moglie, soggiogata dalla loro presenza e per i miei figli che venivano fortemente diseducati.
Avevo imposto di acquistare con i nostri risparmi un appartamento per conto nostro, ma con grande stupore avevo saputo che erano stati i suoi parenti a gestire i nostri risparmi in attività legate al mondo dell'usura.
Mia moglie non aveva il coraggio di allontanarsi da sua madre.
In compenso avevano acquistato un appartamento ed un mono vano vicino al mare di Rometta intestati ai miei figli, ma i suoceri si erano riservati l'usufrutto, in altre parole dovevo essere costretto a coabitare con i parenti di mia moglie, dall'inizio del matrimonio fino al 1993, ben 16 anni di dura convivenza, fino a non poterne più.
Avevo tentato di contrastarli fermamente e per tutta risposta mi avevano aggredito e querelato, all'insaputa di mia moglie che non aveva mosso un dito contro di me, con false accuse diffamanti servendosi di alcuni testimoni e un'impiegata alla cancelleria del tribunale a loro legati per prestiti con interessi agevolati, loro erano contro di me ed io solo, senza poter riuscire a difendermi.
Nella loro ignoranza non si rendevano conto a cosa sarebbero andati incontro, certamente miravano ad una separazione per mia colpa.
I giudici incaricati del caso erano anticlericali, massoni e collusi con i più alti vertici mafiosi, qualche anno dopo sarà la XIV^ commissione parlamentare antimafia ad accusarli e condannarli in una ampliatissima  documentazione, uno era capo dei GIP, il quale mi aveva rinviato a giudizio senza prove, un altro giudice inquisito per altri fatti era procuratore presso Corte d'Appello. (vedi www.parlamento.it /XIV legislatura; www. antimafiaduemila.com).
Essi avevano trasformato il mio processo in un dibattimento ideologico ed emotivo per poterlo trattare con certi mass-media come uno scoop enorme, essendo stato un docente di religione.
Non voglio entrare in merito alle false accuse, ci vorrebbe un volume a parte, riporto solo un esempio che fa capire in che modo è stato manipolato il processo.
Erano state fatte delle indagini relative al mio periodo trascorso in seminario nel 1966/67 accusandomi falsamente che ero stato "cacciato via per condotta immorale", la smentita categorica proviene direttamente dall'arcivescovo:



Per maggiore chiarezza riporto alcune frasi significative della lettera:
"Mi dispiace quanto è stato scritto nel rapporto fatto nei tuoi riguardi circa il periodo trascorso in Seminario.
E' strano! Perchè il Rettore avuta richiesta di vedere che cosa vi era in archivio nei tuoi fascicoli è venuto da me li abbiamo consultati insieme, non vi abbiamo trovato niente, oltre le notizie di ingresso, di scuola, etc e in tal senso il Rettore ha risposto alle domande che gli erano state  fatte".
Giudici insensati, al punto di non capire che successivamente ero giunto fino al completamento degli studi teologici e che ero stato a San Pietro in mondovisione accanto al Papa Paolo VI vestito in abbigliamento ecclesiastico.
Sono stato perseguitato per la mia appartenenza alla fede cristiana e questo martirio non può che onorarmi.
Come Giobbe alzavo gli occhi al cielo e con lui ripetevo: "Nudo uscii dal seno di mia madre e nudo vi ritornerò.
Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore" (Gb 1, 21).
La mia vita si era trasformata, non ero più quel giovane pieno di successo, come quando stavo a Roma, ma nel dolore ecco che Qualcuno cominciava a bussare nel mio cuore per farmi comprendere che soffrire accanto a Lui è un offrire e con il passare degli anni, mentre la valanga del dolore s'ingrossava, io ricevevo la grazia di penetrare nella passione di Cristo per conoscerlo sempre di più.
A questo stato interiore Cristo aveva provveduto da tanto tempo per rafforzare il mio spirito, si dice che "le vie di Dio sono infinite", nemmeno io avrei potuto capire il suo piano su di me, se non a posteriori, una di queste era la via inimmaginabile della conoscenza Zen che non è una dottrina, ma un metodo ed io avevo cominciato a conoscerlo da alcuni gesuiti, il più noto tra tutti era P. Enomiya Ugo Lassalle, che aveva partecipato al Concilio Vat. II con il vescovo di Hiroscima, di lui non parlo specificatamente per motivi di spazio, basta cliccare il suo nome su internet presente in numerosi siti, riporto soltanto due suoi pensieri: "Lo Zen che non è legato ad alcuna dottrina, può aiutare i cristiani a conseguire l'esperienza di Dio";"nello Zen l'anima va incontro a Dio fino al limite estremo delle sue possibilità".
Lo studio approfondito del metodo Zen mi ha fatto comprendere di più lo spirito degli "Esercizi spirituali" di S. Ignazio.
L'ulteriore sofferenza che stava per giungere ha spinto la mia anima a quel limite estremo per implorare Dio a darmi un'illuminazione.

Le conseguenze del processo erano state terribili, non tanto per il motivo che avevo smesso di insegnare, non per la vergogna dovuta ai mass media, non ne avevo motivo e chi mi conosceva mi sosteneva moralmente, la più grande sofferenza è stata quella di essermi dovuto distaccare dalla mia famiglia per non mettere a rischio la mia incolumità e la creazione di un nuovo antecedente, una falsa recidiva, base di tutto il mio calvario giudiziario, che mi voleva costringermi al silenzio ed all'isolamento psicologico.
Mentre ero a Palermo nell'abitazione di mia madre, mio figlio, fino al 1995, veniva a trovarmi di nascosto ai parenti, essi però si erano insospettiti e lo avevano minacciato, al punto che non lo avevo più visto per ben dieci anni, causandogli dei profondi traumi, perchè era molto legato a me e gli era venuta a mancare la figura paterna durante tutta la fase dell'adolescenza, un periodo determinante per la formazione esistenziale.
Col passare del tempo gli dicevano che l'avevo ormai abbandonato e non gli mostravano le lettere che gli spedivo.
L'anno dopo mia madre mi aveva comprato un appartamento a Palestrina, utilizzavo due camere come studio per svolgere l'attività di Naturopatia ed il lavoro era soddisfacente, ero ben preparato nella materia, avevo anche conseguito un master presso l'Heilpraktiker di Baden-Baden, una Scuola riconosciuta dall'OMS.
Nel settembre 2001, quello stesso giorno in cui c'era stato l'attentato alle torri gemelle, a mia madre avevano amputato la gamba destra, a causa di una cangrena, per questo motivo l'avevo fatta trasferire da Palermo nella casa di Palestrina.
Con molte sofferenze e sacrifici cercavo sempre di renderla allegra (ma si può celare a una madre la propria sofferenza?), la portavo con me sulla sedia a rotelle nei posti più belli di Roma, o nelle località intorno ai castelli romani, spesso sul lago di Nemi che le piaceva molto, ma dopo tre anni di calvario, con mio immenso dolore, era deceduta sepolta dai dolori, prima della terra.
Per tre volte aveva ricevuto il Sacramento degli infermi e prima di entrare in agonia le sue ultime parole erano state: "ma quanto sei bella, mia Signora!" 
Era letteralmente ringiovanita di almeno venti anni destando stupore a quanti l'avevano vista.
Cercavo di concentrarmi nel lavoro per tenere la mente occupata e superare il mio stato di sofferenza.
Si era presentato un uomo il quale soffriva di attacchi di panico che si manifestavano più volte al giorno, era ossessionato dal pensiero della morte sin da giovane, ma si era aggravato in seguito alla morte di un anziano che egli aveva causato dopo averlo investito con la sua auto guidata a fari spenti.
Da tempo cercava di curarsi senza rimedio con terapie a base di psicofarmaci che lo disabilitavano dalle sue funzioni.
Gli avevo praticato una serie di terapie, programmate con la consulenza di un medico omeopata che approvava la medicina alternativa e migliorava gradualmente riuscendo ad autocontrollarsi sempre più.
Lui e la moglie entusiasti mi invitavano a casa ed io accettavo volentieri, perchè mi sentivo troppo solo e triste.
Sembrava essere nata un'amicizia ed in buona fede parlavo dei problemi che avevo avuto ascoltando anche i loro.
In particolare la moglie mi aveva detto che sua madre l'aveva abbandonata dalla sua nascita affidandola ad una zia che credeva fosse la vera madre.
Era venuta a sapere la verità dopo la morte di costei.
Ben presto cominciavo a notare che a causa del suo trauma, peggiore di quello del marito, la donna era sempre isterica con i familiari per futili motivi, o perchè immaginava e sospettava negativamente cose inesistenti facendo scenate in continuazione.
Avevo deciso di non frequentarli, ma la moglie mi telefonava spesso, poi era venuta a trovarmi per dirmi che non aveva rapporti coniugali con suo marito. 
Non voleva più averne, anche se era migliorato e mi aveva fatto una proposta di convivenza da me garbatamente rifiutata.
Poco tempo dopo mi discreditava cominciando con i propri figli e il marito che plagiava contro di me.
Il minore era appassionato di calcio e la sua profonda aspirazione era quella di fare carriera come calciatore.
Tramite mia sorella che vive a Cesenatico conoscevo l'allenatore Zaccheroni ed era disposto a vedere il ragazzo e poteva inserirsi nelle "primavere della Roma", ma la madre piena di livore andava in giro e mi calunniava raccontando a modo suo tutto quello che le avevo confidato, per questo motivo avevo completamente abbandonato tutta la famiglia.
Molti giudici in genere si basano sulle carte che leggono superficialmente, per il fatto che ci sono milioni di casi da smaltire e come una catena di montaggio si fabbricano dei processi sommari. 
Si può descrivere il male che si riceve, esso si concretizza in varie forme ed ha varie provenienze sia umane che casuali, quando feriscono l'uomo non lo si può dimenticare, ma lo si può superare.
Quando avevo divulgato il movimento di Rinnovamento nello Spirito si sentiva in mezzo a noi la presenza di Dio, quante anime venivano strappate dall'oscurità verso la vera luce di Cristo.
Avevo riunito ad Enna, nel 1986, un gruppo di adolescenti affidandolo alla guida di un sedicenne, li avevo accompagnati a Rimini durante il convegno annuale costituito da migliaia di persone, oggi, quel sedicenne, Salvatore Martinez, è il responsabile nazionale del movimento.
La sottile presenza del male mi aveva perseguitato attraverso i deboli, ma il Signore ha trasformato in maniera positiva tutti quegli eventi che mi avevano piegato senza mai spezzarmi.
Ad ogni ferita puntualmente Dio non mi faceva mancare il suo intervento riparatore riportandomi in una situazione migliore rispetto alla precedente; io avevo messo tutto me stesso nelle sue mani e non sono mai stato deluso fino ad oggi.
Nel 2005, dopo dieci lunghi anni, mi aveva scritto mio figlio che desiderava tanto vedermi.
Quelle lettere che gli avevo inviato e che non gli avevano consegnato, non erano state bruciate, sua madre le aveva conservate e lui le aveva finalmente potute leggere.
Aveva capito quanto gli volevo bene, mentre era cresciuto senza una figura paterna negli anni più delicati della sua vita, quelli della sua adolescenza.
Leggevo quelle sue frasi con tante lacrime: "Mio adorato papà, potrai mai perdonarmi? Vivevo in quel torbido familiare straziato dalla tua mancanza, amareggiato nel vedere la mamma trattata come una cenerentola, senza alcuna capacità di reagire da parte sua...Quando ho raggiunto la maggiore età sono andato via da casa per vivere a Bologna con alcuni amici che fumavano ed ho cominciato anch'io per crearmi un mondo parallelo e poterti vedere nei miei trip. Ti ho raffigurato in tanti modi, tutti belli e ti sentivo accanto a me. Poi mi sono lasciato andare, l' hascish non mi aiutava più ed io sentivo fortemente il bisogno di evadere, così sono passato alle droghe pesanti, spesso era crack che usavo per sconvolgere la mente, fino a ridurmi come uno zombie. 
Volevo vederti, ma mi vergognavo di incontrarti nelle condizioni in cui ero. 
Ho trovato le tue lettere e mi sono sentito rinascere, mi hanno dato la forza di voler smettere, però ho bisogno della tua vicinanza"...
Ci siamo incontrati a Roma dopo una settimana e nel frattempo mi scriveva due-tre lettere al giorno, tutte strazianti che si riferivano al suo passato con i parenti.
Appena mi aveva visto si era buttato al collo e tutto tremante mi stringeva fortemente stando in silenzio per la forte emotività, io ero nelle stesse condizioni.
Dopo quello che era successo con l'isterica moglie del mio paziente non me la sentivo di stare a Palestrina, avevo da parte una cospicua somma ereditata da mia madre e con Alessandro siamo andati a Cesenatico per trascorrere un periodo sereno da mia sorella.
Per lunghe ore passeggiavamo sulla spiaggia fino a tarda notte, entrambi sentivamo il bisogno di recuperare il tempo perduto e dopo alcuni giorni ci sembrava di non esserci mai separati, in realtà eravamo vissuti l'uno dentro il cuore dell'altro, la nostra separazione era stata solo fisica.
Dopo alcuni mesi, nell'ottobre del 2005, ci eravamo trasferiti a Bologna, dove avevo riaperto uno studio di naturopatia, intanto continuavamo ad andare avanti con i risparmi che avevo.
La zona era frequentata da nordafricani, molti di loro dormivano in case abbandonate, o addirittura sulle panchine dei giardini e venivano da me per chiedere qualsiasi tipo di soccorso, non solo sanitario, avevano bisogno di una doccia, o di lavare quello che indossavano, qualche altro che era malaticcio mi chiedeva un posto per dormire fino a quando non si fosse ripreso, non tutti, ma chi poteva dava un contributo per le spese.
Era venuta una pattuglia dei carabinieri per un controllo ed aveva arrestato quattro di loro che erano sprovvisti di documenti, dopo 48 ore il giudice li aveva rimessi in libertà, non essendovi motivi.
Dopo qualche settimana, il capo pattuglia, un maresciallo, era tornato da me per riferirmi che un tunisino, tra coloro che erano stati rimessi in libertà, doveva arrestarlo e che il giudice si fosse sbagliato, quindi voleva essere avvertito se fosse venuto a casa mia.
Per otto mesi il sottufficiale mi assillava sollecitandomi a dargli delle inoformazioni che non conoscevo, perchè il ricercato era sparito, mi aveva anche invitato presso la caserma ed in un ufficio riservato, attraverso un macchinario computerizzato, mi aveva mostrato la foto del tunisino, con i suoi vari "alias" con cui si faceva chiamare ed altre foto segnaletiche chiedendomi di collaborare con lui.
Non avendo ottenuto alcun risultato mi aveva fatto sequestrare l'immobile; mio figlio era dovuto tornare a Messina dalla madre che intanto era affetta da un mieloma multiplo ed io mi ero inserito presso la Comunità in cui mi trovo.
Mio figlio, già molto provato nella sua giovane vita, ha subito un duro colpo per esserci nuovamente separati e per le gravi condizioni in cui versava sua madre.
Ancora fragile dalla sua ripresa è ricaduto nella droga, adesso è seguito da un centro di recupero.
Ero distrutto dalle vecchie ferite che si riaprivano, assieme alle altre che si aggiungevano, soprattutto l'avere appreso la notizia della morte di mia moglie che non sapeva dove mi trovassi; quando Alessandro aveva visto per l'ultima volta sua madre gli aveva chiesto mie notizie.
Io non avevo mai avuto rancore nei confronti di mia moglie, capivo le sue condizioni psicologiche, la paura che la sottometteva a sua madre ed i parenti, nè lei, nè io ci eravamo traditi e siamo rimasti fedeli entrambi.
La sua morte mi ha molto addolorato facendo salire la mia pressione al punto che ho avuto un ictus cerebrale con una parestesia diffusa sulla parte sinistra del corpo che attualmente sto curando.
Nel frattempo notavo che il fegato si era ingrossato ed avevo chiesto di fare dei controlli, l'epatologo non è intervenuto urgentemente, nonostante dalle analisi del sangue si evidenziava l'enorme alterazione di alcuni marcatori tumorali.
Quando si era manifestato un nodulo lo hanno scambiato per un'ernia e solo dopo tante insistenze da parte mia mi hanno ricoverato al "Sant'Orsola", dove hanno accertato che quella non era un'ernia, ma un'epatocarcinoma, ormai ingrossato di 12 cm di diametro, per cui non si poteva più intervenire chirurgicamente per asportarlo e mi hanno sottoposto alla chemioterapia, che sto eseguendo nella Comunità di Sammartini.
Sin dalla nascita ho trascorso la mia vita in una dimensione comunitaria: il rione dei ferrovieri, la parrocchia, l'insegnamento scolastico, le associazioni culturali e religiose... 
Chi mi ha conosciuto da vicino mi ha sempre rispettato ed amato, soltanto a causa della disonestà di pochi ho subito calunnie, falsi preconcetti e illazioni diffamatorie.
Nel settore giudiziario occorre davvero una riforma radicale e non deve accadere mai più a nessuno che presunti indizi,  immaginati da una fantasia criminofoba di qualche pubblico ministero, avallato dal collega giudicante, diventino prove di colpevolezza.
Ancora peggio, quando la procura non tiene conto del segreto istruttorio e vende notizie falsificate per rendere più piccante lo scoop a scopo di lucro.
Sanno di avere nelle mani un potere enorme che logora coloro che non lo hanno, la regola medievale "a nemini iudicatur" se la sono accaparrata in maniera assoluta per giudicare gli altri senza essere giudicati.
Fino a quando non esagerano troppo, come i giudici che mi hanno processato, riconosciuti colpevoli per collusione con Cosa nostra, ovvero con i capi Riina e Provenzano che avevano spostato i loro tentacoli nella provincia di Messina, a Barcellona Pozzo di Gotto, nel periodo in cui insegnavo religione al "Giovanni Verga"; il suddetto capo dei GIP ha pure sulla coscienza l'assassinio della 17enne Graziella Campagna, colpevole di avere riconosciuto dalla foto di un documento un latitante mafioso da loro protetto.
Mi hanno perseguitato senza alcuna ragione, lo hanno anche scritto: "non vi sono aliunde (termine latino che significa 'da qualsiasi altra parte') prove fuori dall'ambito parentale". 
Dopo aver lasciato l'insegnamento, nonostante la crisi occupazionale ho svolto dei lavori saltuari per potere campare con  dignità.
Non potendo più versare i contributi all'Inps non ho maturato una pensione, dovrei gioire per essere diventato invalido civile al 100%, almeno potrò avere una miserabile mercede di 270 euro al mese, dopo chissà quanto tempo, la mia fortuna è di trovarmi in una fraterna comunità che provvede a tutti i miei bisogni necessari. 
Oltre al processo ideologico da parte di quei giudici, era la mia voce che volevano far tacere alcuni mafiosi per le mie rassegne internazionali contro mafia e droga?


Dopo l'assassinio di don Pino Puglisi, che ha suscitato un enorme scalpore e cortei di proteste contro la mafia, sono stati proprio i giudici collusi con i malavitosi a suggerire un cambiamento.
Il sangue faceva troppo rumore e rendeva difficile aggiustare i processi, se ne parlava fin troppo, quindi si dovevano evitare i morti ammazzati e la nuova strategia era quella di denigrare gli avversari, con gravi calunnie che dovevano costringerli all'isolamento ed al silenzio.
Di Graziella Campagna, una povera ragazza che lavorava in una lavanderia, pensavano ad un caso che non potesse far rumore, per questo l'hanno ammazzata e denigrata attraverso indagini inquinate che facevano apparire quell'omicidio come se fosse stato causato per motivi passionali.
Ma Graziella aveva un fratello carabiniere, tenace e deciso ad andare fino in fondo riuscendo a smascherare tutta la messinscena che aveva come protagonista uno dei giudici che ho avuto la disgrazia di incontrare per rovinare la mia vita.
Sulla ragazza è stato prodotto un film di grande successo 
interpretato dall'attore Beppe Fiorello; cliccate i siti sopra indicati relativi ai giudici messinesi collusi con "cosa nostra" e il nome di Graziella Campagna.
Si potrà comprendere quali tumori in metastasi vi siano nel mondo giudiziario italiano, mali che bisogna estirpare con una riforma radicale.  

RITORNO ALLA QUIETE

Inizio questo capitolo con un profondo ringraziamento alla Divina Provvidenza per avermi condotto a Sammartini presso la Comunità delle "Famiglie della visitazione", fondata da don Giovanni Nicolini, su ispirazione dello storico costituzionalista Giuseppe Dossetti, divenuto in seguito monaco ed aiuto moderatore del card. Lercaro, arcivescovo di Bologna, durante il concilio ecumenico vaticano II.
Le loro eccellenti attività si possono conoscere attraverso il sito: www.fratellidellavisitazione.it che invito a visitare.
Sin dal 2005, subito dopo il mio trasferimento a Bologna, io e mio figlio Alessandro ci siamo inseriti presso la nostra parrocchia di San Girolamo all'Arcoveggio, dove abbiamo conosciuto il parroco, don Luciano Galliani e il giovane vice parroco don Davide Zangarini con il quale c'era una maggiore confidenza, essendo poco più grande di mio figlio. 
Quasi tutte le mattine andavo a trovare il mio confessore, mons. Vincenzo Gamberini e leggevo la Parola di Dio durante le sue S. Messe nella Cattedrale di San Pietro.
Vivevo serenamente, fino a quando non hanno sequestrato l'appartamento con una denuncia per favoreggiamento all'immigrazione clandestina, tutto questo dovuto, invece, al mio spirito di carità cristiana rivolta a persone malate che dormivano in case abbandonate, uno di loro aveva la tubercolosi ed era stato appena dimesso dall'ospedale di Parma, non me la sentivo di farlo dormire all'aperto nel gelido mese di febbraio.
Dopo la forzata separazione da mio figlio non sapevo dove andare e mi ero rivolto alla Misericordia di Dio, don Davide stava cercando di aiutarmi a trovare un alloggio.
Una sera stavo guardando un programma televisivo condotto dal giornalista Gard Lerner sul tema che riguardava la risurrezione di Cristo, per la prima volta ho visto don Giovanni Nicolini che rispondeva alle varie domande sull'argomento, mi aveva colpito la sua serenità e la preparazione teologica.
Ne ho subito parlato con don Davide e mi ha risposto che si sarebbe rivolto a lui per cercare di risolvere il mio problema.
Dopo qualche settimana ho incontrato don Giovanni nella sua parrocchia di S. Antonio alla Dozza con il confratello Martino, è stato subito un incontro piacevole, percepivo di trovarmi nel posto giusto e ringraziavo Dio di quanto aveva predisposto per me.
Prima ancora di Sammartini ero andato ad abitare nella vicina frazione di Caselle, dove mi aveva accompagnato don Giovanni.
Durante il tragitto in auto volevo esporre la mia complessa situazione, ma c'era troppo poco tempo e non riuscivo a spiegarmi sinteticamente, nonostante questo la sua bontà mi ha messo subito a mio agio e mi ha benedetto nel salutarci, era il mese di marzo del 2008, una nuova primavera nella mia vita sembrava ridarmi la serenità.
Appena ho conosciuto il parroco di Sammartini, don Francesco Scimè, il cognome mi ha fatto subito ricordare il mio professore di filosofia e direttore spirituale quand'ero adolescente, effettivamente erano parenti.
A prescindere da questa coincidenza, in lui ho trovato un nuovo fratello; i piani di Dio sono sempre sorprendenti e si manifestano attraverso quei segni particolari che confermano come Egli ci è sempre vicino nei nostri bisogni, quando lo invochiamo.
Nella comunità parrocchiale ho trovato tutto quel calore familiare che mi faceva ricordare il rione dei ferrovieri, mi sembrava di essere sempre vissuto in quell'ambiente.
Durante i primi due anni ho avuto la possibilità di svolgere dei lavori mai pensati prima, avevo imparato guardando gli altri restaurare, o imbiancare e dalle richieste che ho avuto potrei affermare che me la cavavo discretamente.
In tutto quel periodo non mi è mai mancato il lavoro che mi ha consentito di avere tutto il necessario.
E' una gioia profonda per me vivere in un ambiente umano, accogliente; dove c'è amore, dove c'è carità, c'è Dio che santifica attraverso la preghiera comunitaria se viene fatta con sincerità.
E' così che si cresce nella gioia e nella pace.

LEZIONE DIVINA SULLA SOFFERENZA


Come l'oro si purifica nel fuoco, così è per l'anima attraverso il dolore, quando c'è questa realtà io permetto che uno soffra, per renderlo più simile a me.
Solo colui che soffre sa riconoscere il dolore degli altri e può com-patire con loro.
Il ricco Epulone non aveva mai sofferto alcuna privazione e godeva dei suoi beni, conduceva una vita agiata e per questo non comprendeva il povero Lazzaro che per nutrirsi si accontentava degli avanzi che cadevano dalla mensa di quel ricco, persino i cani avevano pietà di lui e gli leccavano le ferite.
E' difficile che un ricco entri nel Regno del Padre e non si è ricchi solo di denaro, ma di qualsiasi idolo radicato nel cuore umano.
La vostra sofferenza vi accosta di più al mio cuore misericordioso e vi fa partecipare alla mia passione, non soltanto quella che ha preceduto la crocifissione, la mia passione è sempre incarnata nella storia degli uomini, istante per istante, durante lo scorrere del tempo.
In questo mondo mai nessuno potrà capire questa mia passione amara, si comprenderà nel Regno dei Cieli, dove il trionfo della mia misericordia sarà un nuovo sole eterno per i giusti.
Non ho provato il più grande dolore con gli sputi, gli insulti, gli schiaffi, i calci, la flagellazione, la coronazione di spine, il peso della croce, i chiodi che hanno perforato mani e piedi, no!
Il più grande dolore l'ho provato nel giardino del Getsemani, dove la mia agonia formava sudore di sangue in abbondanza.
Giovanni il battista mi aveva annunciato come il vero agnello di Dio, colui che toglie i peccati del mondo.
La mia missione pubblica si era completata, il mio vangelo di salvezza era stato annunciato con i miracoli.
Ho chiamato i tre apostoli testimoni della mia trasfigurazione, avevano visto splendere il mio corpo nelle sembianze divine, ora dovevano vedere quelle del servo sofferente, fatto agnello per la salvezza dell'umanità intera: passata, presente e futura.
Razze, culture, religioni diverse, tutti i vostri peccati erano diventati in quel momento, nel Getsemani, concentrati in un unico peccato, un peso così enorme che non v'è misura per contenerlo.
Un peso troppo forte da sopportare, anche la tua vita ho addossato sulle mie spalle.
Tutto l'inferno si era scatenato in quella notte di luna piena e con altissime urla volevano tentarmi, dicevano che il peccato dell'uomo era davvero insopportabile, non meritava la mia misericordia, che per molti sarebbe stato comunque inutile quel sacrificio e sarebbero andati ugualmente nel regno delle tenebre.
Secondo loro ero il più grande dei profeti vissuti sulla terra, ma non sapevano che sono il Figlio unigenito del Padre e Dio come Lui.
Ora immagina di trovarti su un'altura estasiato mentre ammiri un panorama stupendo, all'improvviso un'eclissi solare cancella quella visione e ti trovi subito coperto di tenebre, immagina ancora che non è solo la vista a scomparire, ma tutti gli altri sensi, così è stato per me, non è un paragone reale, solo una flebile idea che potresti superare con l'immaginazione intuitiva, senza tuttavia cogliere del tutto la mia realtà, finchè sei in questo mondo.
Essendo io divenuto il peccato universale il Padre, unito a me sin dall'eternità, mi ha abbandonato, anch'io come Dio ho abbandonato la mia carne ed il mio spirito, lasciando nell'orto degli ulivi il solo uomo con tutte le debolezze della contingenza.
L'assenza del Padre mio e quella della mia divinità sono state il mio calice più amaro, come Dio non potevo patire, come Dio non potevo    addossarmi i peccati dell'umanità, per riscattare l'uomo dovevo essere soltanto un figlio d'uomo, il sangue che avevo versato era sgorgato dalle ferite delle percosse, dalla flagellazione, dalla coronazione di spine, dalla crocifissione, ma il sangue versato nell'orto degli ulivi proveniva dalle ferite della mia anima, aggravate dai tradimenti di coloro che avevano dispensato della mia grazia
come Giuda, che operava nel mio nome e tutti i miei consacrati nel corso della storia che non è ancora compiuta.
Durante il sacrificio della Messa siano considerati i miei dolori con profonda partecipazione di cuore e di mente, con lo stesso spirito di San Pio da Pietralcina.
C'è una sottilissima tentazione alla quale bisogna stare molto attenti:
a causa dei peccati commessi ci sono anime che si ritengono indegne, abbandonate da Dio, pensano che non vale più la pena di pregare e di compiere il bene.
Questi dubbi sono suggeriti da Satana!
La mia misericordia è così infinita, tale da superare tutti i peccati del mondo, tutti li ho addossati sulle mie spalle, per questo potete sempre ritornare a me, se avete un cuore sincero.
Per i tuoi peccati, come per quelli di ogni singolo uomo, anche se fosse stato uno soltanto, avrei subito la stessa passione, esaminati dunque, o figlio, scruta le tue forze interiori e prendi su di te la croce, unisciti a me per la salvezza dei tuoi fratelli, questa è la scelta migliore di colui che vuole imitarmi.


PASSIO CRISTI


In quel giardino d'ulivi
fin dalle sue radici
tutta la vite fu scossa
dal volto sgomento e prono
un sudato sangue bagnò la terra
anche per i tralci futuri
tutta la spirale della storia
era lì
un unico presente
sulla carne dell'Agnello
che s'era consegnato
per amore dell'umanità
vedesti anche me
così adultero
così errabondo
e gridasti il mio nome
allora mi sono fermato
a commuovermi
sulle misericordie
di quel cuore
che avevo trafitto.

Hai permesso che cadessi in questa grande sofferenza, per comprendere meglio la vacuità di questo mondo.
Soltanto tu, Signore, riempi di felicità il mio povero spirito, fino a farlo traboccare nell'infinito.
Hai visto in me la sincera sofferenza delle mie cadute, l'amore vero porta l'abito della sofferenza, l'unico in cui può risplendere la luce divina.
Come potrò cantare le tue lodi in questa terra straniera? 
Mi hai posto nel profondo di questa oscura vallata per purificare il mio spirito e possa, al momento giusto, cantare la tua misericordia tu, o Dio, emani la tua giustizia da un cuore d'amore infinito che sollecita il richiamo di quei valori che teniamo sepolti dentro e li fai fibrillare verso la coscienza, non adoperi la mannaia dei tribunali umani, incapaci di restaurare il bene.
Tu solo fai sbocciare fiori dentro il cuore di ogni uomo da cui escono profumi di lode e rendimenti di grazie, tu solo conduci alla pace dell'anima.
Come ho scritto sopra ero stato uno dei pionieri del Movimento di Rinnovamento nello Spirito sin dai primi albori.
Con il passare del tempo il movimento si è prima trasformato da Gruppo Maria, nel 72, in Comunità Maria, nel 77 ed a causa di incomprensioni con i P. Passionisti sul ruolo dei laici, dieci anni dopo, Jacqueline Dupuy e suo marito Alfredo Lancillotti, avevano fondato la Comunità Gesù risorto.
 In seguito un nuovo termine accompagna fino ad oggi aderenti distaccatosi da vari gruppi precedenti: Movimento di Rinnovamento nello Spirito.
Come Alfredo Ancillotti, anch'io mi sono ritirato dal movimento nel 1993, che condividevo fino a quando a capo di esso c'era un delegato del Papa, il card. Joseph Suenens e il successore card. Paul Cordes e quando il movimento era strettamente collegato ai vescovi ed alle parrocchie, poi c'era stata in seguito una certa autonomia, che non avevo condiviso, in considerazione di vari casi di isteria collettiva e visioni fantasmagoriche che si verificavano durante le preghiere prive di discernimento.
Per me si stava prospettando una nuova missione silenziosa che il Signore ha voluto affidarmi: conoscere la sapienza della sofferenza.
Il Movimento di Rinnovamento nello Spirito deve essere conforme all'insegnamento di S. Paolo indicato nella prima lettera ai Corinzi: cap. 12 riguardo ai doni dello Spirito e cap. 14 riguardo all'uso dei carismi nella primitiva comunità cristiana. Il cap. 13 è un inno alla carità, il più grande dei carismi ed è alla carità che una comunità deve aspirare maggiormente rispetto a tutti gli altri doni che ad essa sono subordinati.
La glossolalia è il carisma meno importante e deve essere limitato, meglio il canto in lingue, superiore è il dono della profezia, ancora di più quello del discernimento che ogni responsabile di gruppo deve possedere come dono che ne attesti la conferma. 
Tutto deve essere all'insegna della carità, purtroppo, non è così in tante comunità che ho conosciuto, dove si da troppo sfoggio alla glossolalia e non si pratica una vera agape, che è donazione totale verso coloro che nel gruppo sono più deboli.
Il responsabile di un gruppo deve essere caritatevole e saper discernere, questo dono richiede una formazione teologica di base se si tratta di un laico e una assodata formazione parrocchiale.


Confraternita del buon Samaritano


1)  Vivere nella triplice pace: pace con il proprio cuore, pace con
      Dio, pace con gli altri                                  
2)   Praticare un assoluto non attaccamento personale alle cose.
3)   Consacrarsi al S. Cuore di Gesù.
4)   Consacrarsi al Cuore immacolato di Maria.
5)   Recita quotidiana del S. Rosario.
6)   Partecipare ogni anno ad un ritiro spirituale di almeno sette
       giorni, organizzato dalla diocesi, o dalla parrocchia.
7)   Trascorrere almeno un'ora al giorno con gli ammalati soli,
       bisognosi di sostegno materiale e soprattutto morale, sia in
       privato, che negli ospedali, o case di cura.
8)    Abolire qualsiasi forma di maldicenza, parlare sempre del
        lato buono che c'è negli altri e mai dei loro difetti.
9)   Evitare discorsi inutili, ascoltare più che parlare.
10) Approfondire la Bibbia ed il Catechismo della Chiesa
      Cattolica attraverso corsi approvati dal Vescovo del luogo.
11) Vivere in grazia di Dio, partecipare alla S. Messa, almeno nei
       giorni festivi e comunicarsi.


                     VITA STRAORDINARIA

E' davvero straordinario tutto quello che mi è successo: da una gioia straordinaria ad una sofferenza straordinaria e poi una serie di straordinarietà ancora diverse: è straordinario non lasciarsi coinvolgere dalla tentazione della gloria, è straordinario non perdere l'equilibrio mentale, mentre si è travolti da una enorme valanga di sofferenze, è straordinaria la comunione con Dio quando ci si affida a Lui senza  riserve, è straordinaria la maturazione spirituale che si ottiene dalla "lectio divina" riservata esclusivamente per coloro che sono stati vagliati dal dolore che si può offrire alla Passione di Cristo, l'archetipo di ogni martirio.
Mi vedo come un albero non riarso, non denudato nella corteccia, non strappato dalle sue radici...
Un albero solamente potato, privo di ogni superficialità, spesso causa di auto soffocamento, un albero pronto a far nascere gemme vitali per una nuova primavera.
Se mi rimane ancora un'aspirazione, che sento dentro come una linfa scorrevole, è quella della consacrazione sacerdotale, io ho sempre creduto di essere venuto al mondo per questo!
Soltanto la gravità della mia salute costituirebbe una remora a questo mio desiderio profondo, se non fosse esistita non avrei esitato a candidarmi, considerando che sono vedovo e che non vi è alcun impedimento canonico che potrebbe ostacolarmi.
Credo di avere questo talento fruttificato in maniera alternativa non per mia volontà, ma a causa di una seria crisi, dell'inganno e per un'ingiusta persecuzione contro un giusto che ha pagato a causa della propria fedeltà a Cristo Signore.
Si compia la volontà di Dio!
Vorrei dunque rivolgermi a quei consacrati che non riescono a ritrovare l'entusiasmo avuto all'inizio della loro chiamata.
Non potete immaginare quale grazia è stata riservata a voi che siete stati scelti nel ministero sacerdotale.
Non perdete la vostra identità, voi non siete assistenti sociali, psicologi, pedagoghi, o quant'altro, siete di più, siete sacerdoti, ministri di Cristo.
Contemplate attentamente sulla natura speciale del vostro ruolo, imparagonabile per la sua eccelsa straordinarietà.
Che Dio vi benedica e vi illumini sempre ad essere fedeli servitori nella sua vigna in cui c'è tanto da lavorare e gioire!


BLOG ANCORA IN FASE DI ELABORAZIONE
   
 INVIA I TUOI COMMENTI A:

 dipasqualeignazio@gmail.com



     FOTO DI IGNIS E DI ALCUNI PERSONAGGI DESCRITTI NEL BLOG


con i genitori a 6 mesi


anni 11 prima Comunione

anni 14

seminarista anni 17


allievo Sottufficiale anni 20


teologo anni 23

accolito al IV Sinodo dei Vescovi - Cappella Sistina

accolito con il Papa Paolo VI Cappella Sistina


con alcuni alunni a Roma
anni 46



moglie e figli




 mio nonno docente di Matematica
 e parente di Salvatore Quasimodo

con il CT Nazionale Giappone (ex allenatore Inter
Lazio-Juve-Udinese-Milan) Alberto Zaccheroni
Cuneo anni 53


il Santo Padre Paolo VI

Card. Ugo Poletti

Arc. Angelo Pajno

Arc. Francesco Fasola

con l'Arc. Cannavò 1992

mia madre con P. Curreri

il mio maestro Zen il Gesuita
P. Enomya Hugo Lassalle

Il Gesuita P. Salvatore Scimè mio 
docente di Filosofia e consigliere spirituale


Don Tonino D'Ammando fulgido esempio
di santità sacerdotale fino alla sua morte.
Noto alla CEI la sua immagine era stata scelta
come modello per la sostentazione del Clero


il mio amico d'infanzia Sandrino
scomparso tragicamente a 13 anni



COMMENTI

Segreteria Arcivescovo di Spoleto- Norcia

Il giorno 14 ottobre 2011 12:43, Segreteria Arcivescovo di Spoleto Norcia <segreteria.arcivescovo@spoletonorcia.it> ha scritto:
- Mostra testo citato -

Gentilissimo Sig. Ignazio Di Pasquale,
con sincero piacere abbiamo letto la Sua storia e volentieri le comunichiamo l'indirizzo e-mail che abbiamo a disposizione di don Franco Albanesi:
 Le auguriamo buone cose, la segreteria dell'Arcivescovo.

Grazie di vero cuore! Continuerò a rimanere unito alla Diocesi con le mie umili preghiere, Vostro dev.mo Ignazio Di Pasquale.

Sac. Franco Albanesi

da Franco Albanesi franco
a ignazio di pasquale <dipasqualeignazio@gmail.com>
data 19 ottobre 2011 02:50
oggetto Re: Seminario di Spoleto 1968
Carissimo Ignazio, ho letto il tuo blog, dove racconti nei dettagli la tua vita, con le sue gioie e le sue pene, e tra l'altro il nostro incontro in Spoleto, ai tempi di Mons. Poletti.
Grazie del tuo ricordo e delle tue preghiere. 
Ora mi trovo in un'altra realtá , in questa immensa Missione Amazonica, dal 1973 e ringrazio il Signore per questa bellissima esperienza e questo servizio alla Chiesa di Dio e a questa gente da cui ho imparato molto. Cordiali Saluti. Franco Albanesi.


 Da Cristina
Carissimo Ignazio, complimenti per il tuo blog, è molto bello come hai saputo raccontare una parte della tua vita che non ti ha risparmiato momenti dolorosi, ma anche di consolazione; con successi negli studi , nel lavoro, negli incontri di persone importanti, e come tu stesso hai detto: nel bene e nel male tutto è servito a farti crescere e accettare nel tempo l'esperienza di quel primo dolore per la perdita del tuo amico Sandrino. 
Bellissima la poesia che gli hai dedicato, anche se eri poco più di un ragazzino, la tua interiorità è così profonda da sembrare quella di un adulto. Nel video dove racconti di te, la tua voce riflette quasi un tono di rassegnazione. Nella vita nessuno può vivere di progetti a lungo termine, l'unico progetto che ci è lecito fare è quello di non demordere nella speranza che è la sola che non DELUDE!! UN ABBRACCIO!! 

.Penso che la migliore medicina per superare le tante prove della vita, è sapere che non si soffre mai da soli, qualcuno che ti è molto vicino condivide con te la tua sofferenza per farla diventare un giogo leggero: "Nell'andare se ne va e piange portando sulle spalle la semente da gettare, ma nel tornare viene con giubilo portando i suoi covoni." Buona notte.

 Grazie, carissima Cristina, io so bene che tu ormai mi conosci
ho voluto raccontare la mia storia per incoraggiare coloro che soffrono a confidare in loro stessi e soprattutto nella fede. Spero di svolgere così una forma di apostolato. Ci tenevo ad avere una tua opinione e ti ringrazio per le tue belle parole che solo un'amica sincera sa esprimere.
Il Signore ascolta il sofferente, Gesù sofferente esaudisce le preghiere che io faccio pe te e gli altri fratelli che mi hanno confortato. Ci vediamo, Ciao!
Da Beppe
Carissimo Ignazio, ho letto con molto piacere la storia della tua vita (sarei curioso se ci fosse anche il seguito). Mi piacerebbe sapere perché dici che la tua vita è una vita straordinaria. Da che punto di vista?
Ciao Giuseppe B.

Ciao Giuseppe, la mia vita è straordinaria quando penso dove ero arrivato in giovanissima età, senza mai diventare diverso da quello che sono sempre stato, una persona semplice, non farsi alterare dall'ambiente è di per se un fatto straordinario, soprattutto quando l'ambiente è esso stesso a trasformarsi e dal successo ti fa precipitare verso la sofferenza di cui scriverò tra non molto.
Quando la sofferenza non riesce a sconfiggerti questo è ancora più straordinario, ma è solo in Dio che trovi la forza a superare tutto, a farti trarre dalla sofferenza dei grandi valori che ti rendono sempre più umano, sembra un paradosso sostenere che è straordinario non lasciarsi coinvolgere ne dal bello, ne dal cattivo tempo e credo che tu sia d'accordo.
Da Cristina
Carissimo Ignazio, seguo con molta attenzione la storia della tua vita, ed è veramente come tu l'hai definita: "vita straordinaria." La seconda parte mi mette un pò in apprensione, stai dando prova di grande coraggio nel volere raccontare la verità fino in fondo. " Gv 18,37 Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce!......Che cos'è la verità?.....Nella verità sarete liberi!!! BUONA DOMENICA!


Ciao Cristina, ho letto il tuo messaggio del 24 u.s. Ti ringrazio per la tua attenzione con la quale leggi il mio blog e la seconda parte che ti ha messo un pò in apprensione, quando ero appena all'inizio di "Stella cadent in pulverem". Oggi l'ho completata e ritornerò ad aggiungere fatti, man mano che mi verranno in mente. Si è la libertà interiore, quella che sento nella mia coscienza, che mi ha spinto a dire tutto senza alcuna riserva. Però il mio scopo è andare oltre: descrivo la mia sofferenza per incoraggiare altri che soffrono per svariati motivi (la vita è sofferenza), incoraggiarli ad avere fede in Dio ed afferrare il suo salvagente che lancia verso di noi quando stiamo per affogare. Se non avessi sofferto non avrei potuto fare una più profonda esperienza di Dio, il mio scopo è scrivere questa esperienza: l'amore di Dio Infinito che si china verso il sofferente umiliato, mentre "respinge i superbi nei pensieri del loro cuore. Ciao

Da Cristina
Ciao Ignazio, perdona la mia ignoranza, non so niente dello Zen... hai detto che può aiutare i cristiani a conseguire l'esperienza di Dio....... .. Tu hai studiato molto, conosci le diverse filosofie che ti hanno aiutato nel tuo cammino di fede. Ti chiedo: una come me, che non ha nessuna conoscenza intellettuale spirituale di modi diversi di raggiungere Dio, tranne  la preghiera e l'amore al prossimo, può bastare? Oppure c'è qualcosa di più da conoscere, che va oltre all'amore del prossimo, e che può  avvicinare ancora di più a Dio a noi? Con affetto! Cristina.

Ciao Cristina, ho appena letto il tuo messaggio, la domanda è difficilissima riguardo allo Zen, ma allo stesso tempo ti entusiasma sempre più man, mano che lo apprendi. Il suo approccio con noi cristiani si può far risalire a S. Ignazio di Loyola che conobbe il metodo di meditazione (infatti Zen vuol dire appunto meditazione) attraverso i suoi missionari in Giappone, lo elaborò e fondò i suoi esercizi spirituali che sono famosissimi (prova a cliccare "S. Ignazio esercizi spirituali). Lo Zen è una forma di Buddismo che ebbe origine in India nel VI sec. A.C. da Budda, arricchito dal Taoismo cinese, predicato da Lao Tsu nello stesso VI sec. A.C. E' scontato che tra i gesuiti è molto praticato, ma attenzione: a noi cristiani interessa soltanto quello che ci può essere utile e ci sono utili pubblicazioni di P: Hugo Enomya Lassalle:"Zen e spiritualità cristiana"- Edizioni Mediterranee; "Zen, via verso la luce" - Ed. Appunti di viaggio; "Zen e cristianesimo"- Edizioni Paoline (che avranno altri testi seri sullo Zen). C'è una collana di tre volumi raccomandata a chi vuole conoscere lo Zen: "Saggi sul Buddismo Zen" di  D. T. Suzuki edizioni Mediterranee; inoltre: "Lo Zen passo per passo"-Taisen Deshimaru Ed. Ubaldini e "Il pellegrino cherubico"-Angelus Silesu Ed. Paoline. Infine guarda il mio sito: http://dipasqualeignis.blogspot.com che in Teologia e Medicina Naturale dò alcune descrizioni fondamentali sullo Zen. Aspetto la tua risposta.
Carissima Cristina,
desidero dare una risposta ulteriore alla tua domanda. Dio è infinito e noi non possiamo mai esaurire la nostra ricerca per conoscerlo come Egli è; lo sapremo in Paradiso. Egli incarnandosi ha condiviso la nostra natura umana e come ogni persona che si ama cerchiamo di saperne quanto più è possibile, ma una persona non si ama razionalmente,  si ama con l'intuito del cuore da cui l'amore sgorga come una sorgente. La razionalità può servire se essa si sottomette al cuore.
La teologia, lo Zen, la filosofia, l'astrofisica nucleare...tutto può servire per conoscere l'autore dell'Universo, come attraverso un libro noi possiamo percepire l'autore che l'ha scritto.
La sofferenza è una delle vie importanti per giungere a Dio, essa ci fa capire che qualsiasi forma di attaccamento materiale è illusoria, invece spesso si trasforma in idoli adorabili al posto di Dio e da Lui ci allontanano. La preghiera e l'amore del prossimo che tu osservi sono in assoluto le vie migliori, lo ha detto Gesù: "adorerai Dio con tutto il cuore e tutta l'anima, amerai il prossimo tuo come te stesso " e li ha posti allo stesso livello: Ci fa riflettere San Giovanni che nella sua lettera scrive: " Come puoi dire tu di amare Dio che non vedi, quando non ami il prossimo che vedi?" e ancora Gesù ci insegna che non saremo giudicati secondo quanto abbiamo studiato su Dio, ma sulla pratica della carità: "avevo fame e tu mi hai saziato, nudo e mi hai vestito, malato e carcerato e mi hai visitato...entra, benedetto dal Padre mio, nel Regno dei Cieli". Il prossimo è sempre uno sconosciuto, come nel buon samaritano, uno che ha oggettivamente bisogno di te al di la della simpatia personale, la carità è sempre un'avventura verso ciò che non si conosce, è impersonale.
San Camillo de Lellis un giorno incontrò un lebbroso che sanguinava e puzzava come un cadavere e ricordando le parole di Cristo disse a se stesso: "Signore, ma è proprio vero che tu sei questo lebbroso?", quell'uomo sconosciuto rispose:"Si, Camillo, sono proprio io, ho voluto assumere quest'aspetto per condividere la sofferenza di tutti i lebbrosi del mondo assumendo il loro dolore". San Camillo lo abbracciò fortemente e la puzza era sparita. Ogni odore nauseabondo, ogni vista orrenda, ogni senso deve sparire come se gli altri fossimo noi. Questa è la via, assieme alla preghiera che ci conduce a Dio più di ogni altra scelta. Continua come stai facendo. Ciao
Da Cristina
Ciao Ignazio,ti ringrazio dell'incoraggiamento che mi dai a continuare su questa strada. E' stato di grande conforto per me sapere che Ignazio di Loyola prima di cominciare gli Esercizi Spirituali diceva che si poteva pregare in qualunque modo. Il mio rapporto personale con la preghiera è tutto ciò che il Signore mi fà vivere nella semplicità del quotidiano, fatto di gesti e di riti all'apparenza sempre uguali, ma che acquistano una grande importanza e significato quando si scontrano con la durezza della vita nelle varie situazioni, delle persone, nella loro sofferenza di malattia fisica o morale. Allora per me il tendere la mano, donare un sorriso, ascoltare la loro preghiera mi fa sentire capace di accogliere...... ma ancora di più... di essere accolta,  in una sintonia di sincera amicizia.  Gesù, nella cena pasquale alla sua preghiera  unisce il desiderio di  convivenza-accoglienza : "Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi!"   Il mio desiderio è sempre quello che mi induce a non escludere nessuno perchè ciascuno ha qualcosa da condividere e da donare all'altro. La PREGHIERA è la strada che ci fa da ponte fra la terra e il cielo.Proprio perchè Dio si è fatto uomo ed è venuto ad abitare in mezzo a noi, il nostro cuore e il nostro sguardo devono essere sempre  attenti nel riconoscere nella nostra vita  la Sua  presenza  viva in mezzo a noi. Con affetto! Cristina.


Ciao Cristina, nella tua email ci sono già tutte le risposte che avrei voluto darti. E' proprio come hai scritto, non vi è bisogno di cercare altrove, la tua è una strada maestra verso Dio. Desidero informarti che nella pubblicazione delle email che ricevo, per motivi di riservatezza, indico soltanto i nomi di battesimo. Attualmente sto lavorando su quattro blogs tutti in fase di elaborazione:http://ignaziodipasquale.blogspot.com  che è questo;  http://professoredipasquale.blogspot.com/ , dove pubblicherò le mie poesie sparse; http://dipasqualeignis.blogspot.com, dove scrivo sulla naturopatia e http://ignisdipasquale.blogspot.com , dal titolo:Dio si fa trovare. Come puoi ben capire cerco di tenere la mia mente occupata il più possibile. Ti auguro una buona serata